AgenPress. La voce degli infermieri italiani e degli altri professionisti dell’assistenza che lavorano nella nostra sanità pubblica, i loro pensieri e gli stati d’animo quotidiani sulla realtà che li circonda, di cui fanno parte, e anche sui fatti della stretta attualità: dallo scorso novembre, attraverso i propri strumenti social, lanciando una serie di sondaggi sulle tematiche chiave che riguardano proprio i professionisti della sanità, il sindacato Nursing Up sta raccogliendo preziose testimonianze, che diventano spesso oggetto di dibattito da parte degli stessi infermieri.
Sono costantemente informati, spesso studiano fino in fondo le normative che li riguardano, tra diritti e doveri, dimostrano ampiamente come la nostra professione, negli ultimi anni, si sia costantemente evoluta. Vogliono essere sempre più protagonisti del proprio presente e del proprio futuro, amano il percorso che hanno scelto, ne comprendono il valore, si sentono orgogliosi di indossare quella divisa, la maggior parte di essi non rinnega affatto i sacrifici che caratterizzano il proprio vissuto quotidiano.
Tuttavia sono pienamente consapevoli che la sanità di cui fanno parte vive più che mai una crisi profonda e non sono certo disposti ad accettare passivamente le iniquità. Serpeggia, tra loro, l’insoddisfazione, un malcontento generale li accomuna.
Seguono, inoltre, con estrema attenzione le evoluzioni della politica sanitaria, sono costantemente informati e naturalmente confidano, più che mai in questo momento storico, che qualcosa possa finalmente cambiare.
«Abbiamo raccolto le loro testimonianze, ed è emerso in modo palese che oltre il 90% degli interventi verte sulla più delicata delle questioni, quella degli stipendi.
Non sono affatto soddisfatti della propria retribuzione i nostri infermieri italiani. Oltre il 90% si dichiara ampiamente scontento, ritiene senza mezzi termini di non sentirsi valorizzato, addirittura non sono poche le dichiarazioni di chi, dopo oltre un decennio di attività sul campo, ancora giovane, sotto i 50 anni, avrebbe voglia di abbandonare il nostro SSN, passerebbe volentieri alla libera professione.
Meno stress, meno turni massacranti, più spazio per la famiglia e i propri affetti. Non è solo economica quindi la ragione che spinge molti dei professionisti intervenuti al nostro dibattito a manifestare la palese intenzione di rassegnare le dimissioni dalla sanità pubblica. Per alcuni è solo un pensiero fisso, per altri si palesa già l’intenzione di agire».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«In particolare ci hanno colpito le dichiarazioni di una giovane infermiera di appena 38 anni, sono il sintomo evidente di un malcontento generale di cui Governo, Regioni, aziende sanitarie, dovrebbero tenere conto».
“Fare l’infermiere è una vocazione, ci ha detto, ma certo non rappresenta solo questo. Abbiamo una eccellente formazione universitaria, mettiamo in gioco solide competenze, siamo in grado di gestire elevate responsabilità.
La media dello stipendio attuale, che non supera i 1800 euro, non è assolutamente equiparata al carico fisico-emotivo a cui siamo sottoposti ogni giorno, all’approccio non solo scientifico, ma anche umano che sappiamo offrire ai pazienti.
Il piatto della bilancia è decisamente disequilibrato tra responsabilità/autonomia professionale e una valorizzazione economico-contrattuale che attendiamo da tempo e che sembra non arrivare mai”.
«Denunciamo da tempo l’acuirsi di un profondo senso di insoddisfazione emotiva da parte dei professionisti dell’assistenza, e la politica troppo spesso fa orecchie da mercante, ma dovrebbe invece tenere conto di quanto sta accadendo, dal momento che il clima di legittima sfiducia, rischia di continuare a sfociare in dimissioni volontarie dal SSN per passare alla libera professione, e poi in fughe all’estero addirittura abbandono definitivo del mondo sanitario. Possiamo davvero permetterci tutto questo?
La collettività, soprattutto, può permettersi, un servizio sanitario che costantemente perde i pezzi, visto che di fatto gli infermieri rappresentano, numericamente e qualitativamente, lo scudo per la tutela della propria salute?. Non dovremmo ma smettere di chiedercelo», conclude De Palma.