Stato-mafia. Mori: “per vent’anni mi hanno mandato sotto processo. Sono parzialmente soddisfatto”

AgenPress –  Confermata dai giudici di Cassazione l’assoluzione per i tre ex investigatori del Ros, Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno. I giudici hanno annullato la sentenza di appello senza rinvio con la formula per non avere commesso il fatto. Assoluzione definitiva anche per l’ex senatore Marcello Dell’Utri. La Suprema Corte ha annullato senza rinvio il giudizio d’appello.

“Sono parzialmente soddisfatto, considerando che per vent’anni mi hanno mandato sotto processo. Ero convinto di non aver fatto nulla, il mio mestiere lo conosco, so che se avessi sbagliato me ne sarei accorto”, ha detto il generale dei carabinieri Mario Mori, ex Ros.

Dichiarata la prescrizione per il boss di Cosa Nostra, Leoluca Bagarella, condannato dai giudici di Appello di Palermo a 27 anni e per il medico Antonino Cinà, ritenuto vicino a Totò Riina, a cui in secondo grado furono inflitti 12 anni di reclusione- I giudici hanno infatti riqualificato i reati di violenza e minaccia ad un corpo politico dello Stato nella forma del tentativo. Con la riqualificazione la fattispecie è andata in prescrizione.

Il primo a parlare di ”trattativa” tra Stato e mafia fu l’ex boss di San Giuseppe Jato, il boia di Capaci, Giovanni Brusca. Era il 1996.

Quella volta, il pentito di mafia, che oggi è un uomo libero, disse di averne sentito parlare Totò Riina, fra le stragi Falcone e Borsellino. Nel frattempo arrivarono le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, morto nel 2002.

Per i giudici di Palermo una trattativa si svolse fra pezzi dello Stato e i vertici della mafia quando ci furono le stragi in cui vennero uccisi Falcone e Borsellino. L’anno scorso, la Corte d’assise d’appello aveva scritto che gli ex ufficiali del Ros Mori, Subranni e De Donno si erano resi protagonisti di un’azione a metà fra la “trattativa politica e una mera trattativa di polizia” per dividere Cosa nostra. Ma anche “un’improvvida iniziativa” accettata dal boss Salvatore Riina.

La trattativa sarebbe andata a buon fine secondo quanto emerso in un dialogo segreto avviato con l’ex sindaco Vito Ciancimino, dopo la strage di Capaci. Dialogo che i giudici di Palermo non avevano ritenuto reato, a differenza di quanto avevano valutato i giudici di primo grado, che avevano fatto scattare la condanna degli ufficiali del Ros. Per i giudici d’appello, l’unico obiettivo degli inquirenti era fermare la strategia delle bombe.

“Scartata in partenza l’ipotesi di una collusione dei carabinieri con ambienti della criminalità mafiosa — hanno riferito il presidente Angelo Pellino e il giudice a latere Vittorio Anania nelle 2971 pagine della sentenza di secondo grado — e confutata l’ipotesi che essi abbiano agito per preservare l’incolumità di questo o quell’esponente politico, deve ribadirsi che nel prodigarsi per aprire un canale di comunicazione con Cosa nostra che creasse le premesse per avviare un possibile dialogo finalizzato alla cessazione delle stragi, furono mossi piuttosto da fini solidaristici (la salvaguardia dell’incolumità della collettività nazionale) e di tutela di un interesse generale — e fondamentale — dello Stato”.

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