Medicina. Urge una giusta pre-selezione e preparazione per combattere l’abbandono che è più del 20% tra gli italiani e il 15% tra gli studenti stranieri

AgenPress. «Apprendiamo, in queste ore, della notizia che il Comitato della Commissione Istruzione del Senato avrebbe intenzione di adottare all’unanimità il testo base per abolire il numero chiuso a Medicina. Una riforma epocale, che dovrebbe prendere corpo entro la prossima stagione accademica e che, al pari di altri sindacati dei medici, come Amsi, Associazione Medici di Origine Straniera in Italia, come Umem, Unione Medici Euromediterranea, sotto l’ala del Movimento Uniti per Unire, non ci vede completamente d’accordo.
Si rischia, anche se si parla di primi mesi con libero accesso a tutti, e poi di una selezione interna più rigida, di creare un problema opposto, di surplus di medici e di camici bianchi che andrebbe a creare scompensi di cui non abbiamo bisogno.
Ci ritroveremmo con un esercito di medici generici, o nella peggiore delle ipotesi, con decine e decine di professionisti pronti a fuggire all’estero perché non trovano lavoro, quando abbiamo bisogno sempre più di figure specializzate e soprattutto di coprire rami come cardiologia, ortopedia, chirurgia, pediatria, anestesia e tanti altri, e non di ritrovarci con un il problema opposto.
Parlo con l’esperienza di è anche da anni docente, visto il mio incarico a Tor Vergata. Le statistiche di Amsi indicano apertamente che il 20% di giovani italiani lascia la facoltà di medicina dopo il primo anno, e si registra anche un 15% di abbandono della professione da parte di giovani italiani di origine straniera o italiani di seconda generazione.
Dobbiamo evitare tutto questo, combattere l’abbandono universitario, creare equilibrio e non certo squilibrio.
Non dimentichiamo che siamo anche di fronte ad un 50% in meno di arrivi di studenti stranieri, che scelgono altri Paesi per la loro formazione universitaria, non solo per le facoltà scientifiche.
Da tempo, anche con lo strumento del nostro progetto interculturale della Scuola Unione per l’Italia, ci confrontiamo con illustri personalità della medicina, della scuola, della sanità, della politica. In questo caso non mancano confronti autorevoli per capire realmente cosa pensano gli intellettuali che sono intorno a noi, che vivono la realtà italiana.
Quando si tratta di formazione universitaria in relazione al complesso mondo sanitario, dobbiamo ripartire da zero.
Nessuno vuole creare ostacoli insormontabili, anzi snellire la burocrazia, come per esempio eliminare l’obbligo di cittadinanza per permettere ai professionisti sanitari di origine straniera di accedere ai concorsi regionali potrebbe essere una buona soluzione.
Ma nemmeno è il caso, secondo noi di Amsi, di eliminare una selezione che ci mette di fronte alla possibilità di portare avanti negli studi solo chi è davvero motivato.
Chiediamo da tempo di aumentare il numero degli anni della formazione alle scuole medie, e di diminuire quella delle superiori, passando a 5 anni la prima e a 3 anni la seconda.
Si potrebbero cominciare a studiare maggiormente materie scientifiche proprio negli ultimi due anni delle medie, da qui si rafforzerebbe quell’istruzione base che serve ad affrontare i primi mesi di università di medicina.
Non dobbiamo correre il rischio, nel tentativo di tappare la falla di personale, di ritrovarci con un surplus di medici disoccupati. Meglio una selezione mirata, adeguata, ma soprattutto guardiamo al concreto: ovvero valorizzazione economica, offerte più vantaggiose anche per i professionisti di origine straniera, evitando così che i concorsi regionali finiscano deserti, evitando così che i nostri giovani italiani di seconda generazione, magari capaci di fare la differenza qui da noi, finiscano “nel calderone”, nel limbo di coloro che non trovano lavoro, oppure peggio ancora si lascino legittimamente attrarre da offerte decisamente più vantaggiose: Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito, hanno alzato le loro proposte economiche, per non parlare poi dei Paesi del Golfo e della Svizzera che offrono stipendi che sono il triplo dei nostri.
Favoriamo la formazione, la ricostruzione delle professioni sanitarie, le specializzazioni, snelliamo la burocrazia e soprattutto procrastiniamo oltre il 31 dicembre 2025 il Decreto Cura Italia, quello che ha permesso, grazie al supporto di tanti professionisti sanitari stranieri, di evitare la chiusura di centinaia e centinaia di reparti di ospedali.
Non perdiamo di vista il cuore del problema: la sana selezione è giusta e naturale, serve a costruire figure professionali di cui abbiamo davvero bisogno, formate e motivate.
Ci sono naturalmente aspetti della proposta che ci piacciono molto come quello di migliorare l’orientamento e la preparazione agli studi universitari già durante gli ultimi tre anni di scuola secondaria di secondo grado. Questi percorsi di orientamento includeranno tirocini e saranno accessibili su tutto il territorio nazionale, con una particolare attenzione alle competenze trasversali e all’orientamento (Pcto). Viene inoltre promossa la collaborazione tra università e scuole per offrire percorsi di formazione che preparino gli studenti ai rigori dei corsi di laurea magistrale, assicurando l’accesso a formazione teorico-pratica anche sotto la guida di tutor qualificati.
Insomma si faccia il possibile per attuare una riforma intelligente che apra la strada alla risoluzione della crisi del nostro sistema sanitario, ricordando, una volta per tutte, che i professionisti di origine straniera sono una enorme risorsa e come tale vanno considerai e valorizzati».
Così il Prof. Aodi Esperto in Salute Globale, Presidente di Co-mai, Amsi e del Movimento Uniti per Unire, nonché Docente di Tor Vergata, la Sapienza e altre Università Internazionali e membro del Registro Esperti della Fnomceo dal 2002, già 4 volte Consigliere dell’Ordine dei medici di Roma che è presente tutti i giorni su tv e radio satellitari per parlare di Immigrazione, Salute Globale, eguaglianza, diritti umani e università.
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