Mattarella all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. “L’aggressione della Russa all’Ucraina contraddice le ragioni fondanti dell’Onu”

AgenPress. Apprezzo molto l’opportunità di potermi rivolgere a Voi, in quest’Aula, luogo simbolico dell’incontro delle volontà dei popoli, a poco più di un anno dall’ottantesimo anniversario della fondazione delle Nazioni Unite e dal settantesimo dell’ingresso dell’Italia.

L’aspirazione della Repubblica Italiana appena nata ad aderire all’Onu rifletteva la nostra vocazione al multilateralismo e sono lieto di poter riaffermare oggi, di fronte a Voi, la determinazione dell’Italia a collaborare alla costituzione di un mondo più giusto, sicuro e sostenibile, in cui ogni popolo e ogni persona possano ottenere pieno riconoscimento dei propri diritti.

Nel 1955 l’Italia, libera dalle macerie del regime fascista e risorta dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale con la scelta repubblicana, venne finalmente accolta – a dieci anni dalla loro istituzione – nelle Nazioni Unite, a conclusione di un percorso lungo e complesso.

Visto da Roma, l’esito della richiesta di adesione non avrebbe potuto essere diverso, perché i principi fondamentali della Costituzione del 1948 della Repubblica Italiana corrispondono, per molti versi, a quelli che ispirano la Carta delle Nazioni Unite, condividendone gli obiettivi.

Con la ferma volontà di non ripetere errori del passato, l’Assemblea costituente italiana aveva, infatti, inserito espressamente norme che consentono limitazioni di sovranità “in condizioni di parità con gli altri Stati…necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”, oltre a promuovere e favorire “le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

L’obiettivo del multilateralismo ha rappresentato il pilastro fondamentale della nostra politica estera e con orgoglio accogliamo sul nostro territorio uffici e strutture delle Nazioni Unite, da Torino a Roma, da Firenze a Trieste, a Brindisi.

La sensibilità della Repubblica Italiana a favore della pace, per la promozione della dignità umana e dei valori universali, si esprime nell’azione costante a sostegno dei dialoghi e dei processi di stabilizzazione post-conflitto, per i diritti dei giovani e delle donne – in particolare in quelle situazioni di più grave discriminazione, e non posso fare a meno di citare la condizione delle donne afghane e di quelle iraniane – e nel supporto alla campagna a favore dell’abolizione della pena di morte.

Non meno significativo è il concorso in termini finanziari e di risorse umane ai programmi dell’Onu.

L’Italia assicura anche la presenza di contingenti civili e di contingenti militari per i programmi di sviluppo e per le operazioni di mantenimento della pace in varie parti del mondo, spesso in scenari complessi e sensibili, a cominciare dalla missione Unifil, al confine fra Libano e Israele.

Ciò ha comportato l’assunzione di rischi e, purtroppo, a volte, la perdita di vite umane.

I militari e i civili italiani vittime in Paesi martoriati da conflitti interni in Medio Oriente e in Africa nella ricerca della pace – a partire dai tredici aviatori, in missione dell’Onu, massacrati nei pressi di Kindu, in Congo, nel 1961 – sono numerosi e desidero qui onorare il loro ricordo.

Il multilateralismo che ispira il ruolo italiano nel mondo trova naturalmente espressione anche in altri contesti, dall’Unione Europea, di cui siamo stati tra i Paesi fondatori, alle relazioni transatlantiche, nell’ambito di organizzazioni di autodifesa, nel G7 e nel G20, nelle altre organizzazioni internazionali.

In tutti questi ambiti, l’Italia opera per il dialogo.

La sua posizione geografica al centro del Mediterraneo, la sua storia, la sua cultura, ne fanno un ponte naturale tra popoli, Paesi e civiltà.

Le prove globali che tutti affrontiamo richiedono una risposta collettiva e ordinata da parte della comunità internazionale.

In questo quadro, l’Onu è l’istituzione-piattaforma universale, inclusiva e legittima per affrontare queste sfide.

Si odono critiche, legittime e talvolta non infondate, circa il funzionamento delle Nazioni Unite.

Tutti vorremmo di più dal sistema onusiano, senza tuttavia sovente essere disposti, a nostra volta, a dare di più, affidandogli compiti, responsabilità e mezzi in grado di potenziarne l’efficacia di azione, senza essere sottoposti al gioco di veti reciproci che rischia di paralizzarne la vita.

Nella storia dell’umanità un’impresa come quella delle Nazioni Unite sorge per superare il gioco a “somma zero” che caratterizzava i rapporti fra le nazioni, basato sulla regola che, per vincere, occorreva che qualcun altro perdesse.

L’obiettivo è divenuto vincere tutti. Insieme.

L’Onu nasce sulla spinta di vicende storiche drammatiche che, provocando morte e immani distruzioni, hanno spinto governi e nazioni a interrogarsi su come evitare che le conferenze internazionali seguite ai vari conflitti divenissero semplicemente un modo per regolare rapporti di forza – prodromi spesso alla guerra successiva – e non esercizi di futuro.

L’Onu nasce per sostituire la logica della collaborazione e del rispetto a quella della sopraffazione.

La Carta delle Nazioni Unite, che ha fatto seguito alla Conferenza di San Francisco, stabilì con grande lungimiranza principi fondamentali: il rispetto per la sovranità nazionale, il diritto all’autodeterminazione dei popoli, l’obbligo di risolvere le controversie internazionali mediante mezzi pacifici, il rispetto per i diritti umani e per la dignità delle persone, senza distinzione di etnia, religione oppure origine sociale.

La Carta, assieme alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1948, è fondamento della convivenza tra i popoli. Un’esigenza riflessa nel suo obiettivo primario: il mantenimento della pace.

Spinte vetero-nazionalistiche, pulsioni neo-imperialiste se non neo-colonialiste, competizione tra potenze in luogo di cooperazione, ripropongono una polarizzazione del sistema internazionale che nuoce alla libertà e alla parità delle relazioni tra gli Stati e i popoli e mette a rischio la pace.

E’ più importante che mai, allora, rafforzare le istituzioni multilaterali, a cominciare dalle Nazioni Unite.

L’aggressione mossa dalla Federazione Russa all’Ucraina contraddice le ragioni fondanti dell’Onu ed è ancora più grave in quanto proveniente da uno dei Paesi su cui ricadono maggiori responsabilità nella comunità internazionale, in quanto membro permanente del Consiglio di Sicurezza.

La difesa dell’indipendenza dell’Ucraina, Paese fondatore delle Nazioni Unite, ha visto impegnata l’Italia, assieme a tanti altri partner internazionali, per l’affermazione del diritto internazionale e del principio per il quale va offerta solidarietà alle nazioni aggredite da atti di prepotenza che intendono sostituire il diritto con la forza militare.

È quanto viene richiesto dall’art.51 della Carta dell’Onu che dispone il diritto all’autodifesa.

Uno Stato – per quanto potente, per quanto dotato di un minaccioso arsenale nucleare – non può pensare di violare, senza sanzioni, principi come quelli della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’indipendenza di un altro Paese.

La Russia si è assunta la grande responsabilità – storica – di avere ricondotto la guerra nel cuore del continente europeo.

L’invasione russa dell’Ucraina, peraltro, non è un mero conflitto regionale. Non foss’altro perché ad esserne protagonista è una potenza che ambisce a esercitare influenza e ruolo globali, che derivano dall’ineludibile responsabilità di essere – come ho ricordato – membro permanente del Consiglio di Sicurezza e che nessuno intende ignorare. Ciascun suo gesto è moltiplicatore di effetti.

Le Nazioni Unite hanno attraversato, a lungo, momenti di difficile operatività, paralizzate come erano dalla contrapposizione della “guerra fredda”.

La caduta della “cortina di ferro” aprì nuove prospettive, favorite anche dal dialogo propiziato dagli accordi di Helsinki del 1975 che condussero all’articolazione di un’organizzazione per la sicurezza e la cooperazione del continente europeo, nella cui efficacia furono pochi, peraltro, purtroppo, a investire.

Ora Mosca pretende di riportare indietro le lancette della storia, e ha avviato una nuova corsa agli armamenti.

Gli effetti della crisi in Europa si riflettono a livello globale. Nel rallentamento dell’agenda degli impegni per la salvaguardia del pianeta, sul terreno dell’energia e, in modo ancora più critico, sul tema delle risorse alimentari.

La Fao e le altre agenzie del polo agro-alimentare dell’Onu a Roma hanno contribuito a far compiere contro la fame nel mondo passi da gigante nell’ultimo decennio. Risultati contraddetti, ora, dai rischi di crisi alimentare derivanti dal conflitto in Ucraina, che rischia di pregiudicare la sussistenza di milioni di persone in altre regioni del mondo, a partire da alcuni territori dell’Africa. Quasi trecento milioni di persone corrono rischi di scarsità di cibo.

In pochi mesi si è, così, dissipato il “dividendo della pace” che aveva permesso di destinare risorse allo sviluppo a scapito delle spese per armamenti, dopo il venir meno della contrapposizione tra blocchi.

Lo scorso anno, la spesa globale per le armi ha raggiunto 2.400 miliardi di dollari, con una crescita di circa il 7% rispetto all’anno precedente, la più alta degli ultimi quindici anni.

Si tratta di risorse che utilmente servirebbero per alleviare le crisi umanitarie che hanno coinvolto oltre cento milioni di esseri umani, per favorire la crescita economica e sociale, per contrastare gli effetti del cambiamento climatico e le insidie globali per la salute, per promuovere lo sviluppo morale e intellettuale delle giovani generazioni e che invece, a causa del rilancio di mire espansionistiche di alcuni Stati, sono state destinate all’acquisto di mezzi distruttivi.

La pace è interesse di tutti i popoli, ovunque. Ovunque.

L’Italia, con altri partner internazionali, è convintamente impegnata nella ricerca di una soluzione pacifica e duratura al conflitto. Non qualsiasi soluzione o, tantomeno, una soluzione che premi l’aggressore e mortifichi l’aggredito.  Creando un precedente di grande pericolo per tutti.

Non si tratta di dar vita a una composizione purchessia. La pace, per essere giusta, va fondata sui principi alti e irrinunciabili del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite.

La Carta deve essere la fonte cui ispirarsi per affrontare anche i sempre più preoccupanti venti di guerra che soffiano sul Medio Oriente.

Le tensioni e gli scontri di queste scorse settimane impongono un accresciuto impegno della comunità internazionale per giungere a una de-escalation.

È uno degli obiettivi che la Repubblica Italiana si è assegnata nell’assumere la Presidenza del G7.

Occorre por fine alla catena di azioni e reazioni e consentire l’avvio di un processo che ponga termine ai massacri e conduca finalmente a una pace stabile: una soluzione che passa necessariamente dall’obiettivo condiviso del pieno e reciproco riconoscimento dei due Stati di Israele e di Palestina, con il definitivo riconoscimento di Israele e della sua sicurezza da parte degli Stati della regione.

Nell’immediato ci viene chiesto di rispondere all’imperativo morale di fornire assistenza per lenire le immani sofferenze della popolazione civile di Gaza.

Va inoltre evitato un ulteriore aggravamento della situazione. Mi unisco all’appello del Segretario Generale affinché siano evitate operazioni militari a Rafah per le drammatiche conseguenze che potrebbero avere sui civili palestinesi.

Occorre poi considerare l’essenziale funzione svolta dall’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Profughi Palestinesi nel Vicino Oriente e di conseguenza l’importanza di continuare a finanziarla.

Il cessate il fuoco, richiesto dal Consiglio di Sicurezza con la Risoluzione 2728, l’accesso umanitario incondizionato alla popolazione di Gaza, la liberazione degli ostaggi sequestrati nel corso del disumano attacco del 7 ottobre – che, va sottolineato, rappresenta la causa scatenante di quanto  successivamente avvenuto  – e l’immediata interruzione di tutte le attività di sostegno alle organizzazioni terroristiche, restano i cardini sui quali continuare a costruire con determinazione un’azione diplomatica che sia comune.

Il conflitto più aspro e duro non può consentire di violare le norme del Diritto umanitario, sancito dalle Convenzioni di Ginevra del 1949, a tutela delle popolazioni civili.

Con coraggio e altrettanta determinazione è necessario rispondere alle altre crisi presenti nella regione, purtroppo numerose: penso alla Siria, allo Yemen.

Garantire la libertà e la sicurezza della navigazione nel Mar Rosso è parte degli elementi caratterizzanti le ragioni della convivenza internazionale.

La militarizzazione di ambiti come il mare, le regioni dell’Artico e dell’Antartico, lo spazio, va combattuta fermamente: sono domini che riguardano l’intera umanità.

I due conflitti d’Ucraina e di Gaza hanno anche fatto riemergere sinistre minacce di ricorso ad armamenti nucleari, come se la storia del XX secolo non ne avesse già reso evidenti le tragiche conseguenze.

Il quadro pattizio per il controllo degli arsenali nucleari, così faticosamente articolato negli scorsi decenni, è un patrimonio comune a tutti gli Stati.

Violarlo, anche con semplici minacce, significa porre a rischio i destini dei popoli, tutti, anche quelli i cui governi minacciano l’uso delle armi nucleari.

Una responsabilità che la Comunità internazionale non può lasciare senza conseguenze.

Questo quadro desta un inevitabile, ulteriore, interrogativo.

La pretesa di piegare le Nazioni Unite a singoli spregiudicati interessi – lo stesso obiettivo principale della Carta viene messo costantemente in discussione – non può metterne in dubbio la universalità e le sue ragioni fondanti.

La scelta dell’Italia si declina nel convinto sostegno all’azione delle Nazioni Unite, fulcro di quella architettura di governance mondiale che, sola, può evitare tragedie ulteriori all’umanità.

Sempre più spesso, pur in presenza del riaprirsi di un contenzioso Est-Ovest, si sente evocare come rinnovato elemento di competizione internazionale la contrapposizione tra Nord e Sud globali, che qualcuno vorrebbe strumentalmente interpretare come contrapposizione tra Occidente e resto del mondo.

Viene evocato il tema delle profonde disuguaglianze economiche e sociali presenti. Tema che ha trovato un primo importante passo sulla strada della affermazione di principi di giustizia internazionale, con la Carta dei diritti e doveri economici degli Stati, approvata dall’Assemblea generale nel 1974.

L’Agenda 2030, con il perseguimento dei suoi obiettivi, non è esercizio “burocratico” per sognatori ma corrisponde alla vocazione dell’Onu di raggiungere un progresso globale.

Se volessimo misurare i risultati sul terreno economico del “multilateralismo prevalente”, noteremmo che, dal 1950 ad oggi, il reddito medio annuale pro-capite della popolazione mondiale è aumentato di quattro volte. Un successo di grande portata pensando che quest’ultima – la popolazione – nello stesso periodo è quasi triplicata. Ancor più considerevole se si considera che la percentuale di popolazione che vive con meno di due dollari al giorno si è, nello stesso arco di tempo, ridotta dal 75% al 10%.

Alla rappresentazione – talvolta artificiosa della realtà – si contrappongono esperienze di costante collaborazione tra Nord e Sud, con partenariati tra Paesi di ogni regione del mondo, che proprio qui, alle Nazioni Unite, trova esempi di efficacia e di successo.

Non può essere posto in dubbio, comunque, che nel percorso di avvicinamento agli obiettivi di Sviluppo Sostenibile, sono gli Stati in migliori condizioni a doversi impegnare di più, consapevoli che sfide quali il cambiamento climatico e l’insicurezza alimentare interpellano e richiedono, per raggiungerli, livelli di responsabilità diversi.

L’Italia è fortemente impegnata in tal senso e ne è prova anche lo svolgimento ieri qui al Palazzo di Vetro della Conferenza sullo stato di attuazione dell’obiettivo di sviluppo sostenibile 16, uno dei più complessi e cruciali dell’Agenda 2030.

Appare anche necessario un vero adeguamento del sistema finanziario internazionale, disegnato molti decenni addietro, quando le condizioni della comunità internazionale erano ben diverse.

Le difficoltà di Paesi in condizioni di crisi, la crescita di Paesi di Continenti come l’Africa, costituiscono priorità assolute, affinché possano sviluppare anche le immense potenzialità di cui dispongono.

Ho avuto modo di sperimentare personalmente le grandi prospettive di un Continente che non è stato solamente la culla dell’umanità, ma ne rappresenta, in larga misura, anche l’avvenire, grazie, in particolare, alla creatività e al dinamismo delle sue giovani generazioni, alle grandi opportunità che presenta il suo futuro.

L’Italia guarda con profondo interesse alla promozione di un partenariato paritario ampio e articolato con i Paesi africani, nella consapevolezza che lo sviluppo di quel continente rappresenta un interesse comune al continente europeo e una chiave essenziale per affrontare con successo le numerose sfide del presente.

È in quest’ottica che l’Italia intende continuare a lavorare con i partner africani, con l’Unione Africana e con le altre Organizzazioni regionali per promuovere lo sviluppo di Paesi a noi così prossimi geograficamente. Lo manifestano, da ultimo, lo svolgimento del Summit Italia-Africa a Roma lo scorso gennaio e il lancio del Piano Mattei per lo sviluppo sostenibile del continente.

La risposta ai numerosi conflitti che, ancora, si manifestano nel continente africano passa attraverso questa capacità di rinnovato dialogo e cooperazione e dalla assunzione di una piena responsabilità nella gestione da parte dei partner africani dei processi di pacificazione e di ricostruzione dei tessuti politici e socio-economici locali. Questo il senso anche del sostegno che l’Italia ha voluto assicurare alla Risoluzione 2719 del Consiglio di Sicurezza.

Si tratta di una prima e parziale applicazione delle proposte contenute nella Nuova Agenda per la Pace del Segretario Generale, che l’Italia appoggia con convinzione per il suo spirito innovativo, basato sulle lezioni apprese nel recente passato in tema di risoluzione dei conflitti, per il ruolo fondamentale da essa assegnato alle iniziative di prevenzione e per l’approccio autenticamente integrale ed inclusivo nella realizzazione di tutte le condizioni necessarie per il sostegno e il rafforzamento dei processi di pace.

l’Africa e il Medio Oriente – ma non solo – regioni dell’America Latina, dell’Asia, e anche dell’Europa, sono interessate da un crescente numero di emergenze umanitarie, sia scatenate da conflitti, sia gravate dalle crisi climatiche, come nel caso delle piccole isole, particolarmente quelle del Pacifico, e rese più acute da contesti locali segnati da fragilità.

La comunità internazionale, e con essa l’Italia, non ha lesinato sforzi al fine di individuare le risorse necessarie per intercettare i bisogni emergenti: il sistema di risposta delle Nazioni Unite si è confermato in grado di organizzare i necessari piani di intervento, spesso rivelandosi l’unico attore in grado di operare nei contesti più difficili.

Ciononostante, il divario fra risorse rese disponibili e necessità continua ad essere enorme.

L’Onu rappresenta la sola piattaforma in grado, se adeguatamente sostenuta dai suoi Paesi membri, di affrontare le sfide che minacciano la pace, la sicurezza e lo sviluppo.

Vorrei sottolineare questo concetto: “adeguatamente sostenuta”, dato che le Nazioni Unite vivono delle volontà politiche e dei contributi degli Stati che ne fanno parte.

Ogni prospettiva di rilancio delle sue attività e dei suoi metodi di funzionamento non può dunque che partire dalle determinazioni individuali dei 193 Stati che ne fanno parte ad impegnarsi di più.

Eppure a confermare il suo successo basterebbe questo numero che ho appena evocato: 193 membri. Furono 51 quelli che vi diedero vita.

La mia presenza in quest’Aula – che è chiamata a dettare l’agenda internazionale – intende riaffermare la ferma volontà dell’Italia di continuare a sostenere l’Onu nel suo impegno per rinnovarsi e per rispondere alle nuove sfide del presente.

Le grandi sfide transnazionali che dobbiamo affrontare, il moltiplicarsi di conflitti regionali suscettibili di estendersi, lungi dal mettere in discussione il ruolo delle Nazioni Unite, ne mettono in evidenza il carattere indispensabile, cruciale, a servizio dell’umanità.

Serve un’Onu sempre più rappresentativa ed efficace. Ogni strada opposta o diversa, ogni assenza, conduce a peggiorare le prospettive della condizione umana.

Siamo consapevoli che l’Onu riflette le diverse aspirazioni e le complessità che caratterizzano i loro membri.

Questo, semmai, ne conferma le ragioni fondanti, e spinge a un rinnovamento.

Da molti anni si discute di riforma del suo sistema, ritenuta opportuna per mantenere questa Organizzazione al passo con i tempi, in grado di rispondere al mutato scenario internazionale e alle dinamiche di sviluppo politico, sociale ed economico dei vari Paesi e delle varie regioni.

A questo riguardo, desidero esprimere riconoscenza per l’azione svolta dal Segretario Generale nel promuovere un aggiornamento dell’agenda e la riforma del sistema.

L’Italia sostiene pienamente le proposte avanzate tanto a livello di organizzazione, gestione e metodi di lavoro dell’Onu quanto riferite ai più ampi piani di intervento nei settori dello sviluppo, della pace e della sicurezza, come individuati nelle varie componenti della “Nostra Agenda Comune”.

Un’Agenda elaborata proprio su sollecitazione della membership per rendere l’Onu più efficiente, responsabile e orientata ai risultati.

Nell’ottica della riforma dell’Onu e, più in generale, del sistema delle relazioni internazionali, il prossimo Summit del Futuro rappresenta un’opportunità ineludibile per il successo dell’architettura multilaterale globale.

Teatro della diplomazia, l’Onu non è riducibile al compito di affrontare e risolvere i rapporti di forza tra gli Stati, bensì è chiamata a occuparsi della sorte dell’umanità e a indicare come risolverne i problemi.

L’attenzione con cui la maggioranza dei Paesi membri guarda al Summit di settembre e al Patto del Futuro è senza dubbio giustificata dalla posta in gioco.

Sovente è nei momenti di maggiore crisi che si riesce a trovare la forza e il coraggio per disegnare intese a favore del bene comune.

La riforma della “governance” globale, che sarà sintetizzata nel Patto per il Futuro, dovrà innanzitutto garantire un processo inclusivo per tutti gli attori della scena internazionale, sia a livello di singoli Paesi. sia di gruppi regionali che, come nel caso del “Gruppo Africano”, delle “Piccole Isole in Via di Sviluppo”, del “Gruppo Arabo”, sono portatori di comuni e legittimi interessi.

Il processo inclusivo non potrà dimenticare, naturalmente, gli altri attori, in particolare i rappresentanti della società civile, che guardano alle Nazioni Unite e che sono, spesso, in prima linea nel contributo allo sviluppo sostenibile del pianeta.

Proprio l’obiettivo dell’inclusività è alla base della proposta dell’Italia e dei Paesi riuniti dalla sigla “Uniting for Consensus” per la riforma e la miglior rappresentatività del Consiglio di Sicurezza, volta innanzitutto a dare spazio a regioni sottorappresentate, come l’Africa, l’Asia e l’America Latina, per rimediare a un’ingiustizia storica a tutti evidente.

Le istituzioni dell’Onu sono state modellate sui rapporti usciti dalla Seconda Guerra mondiale, sulla guerra.

È tempo di plasmarle sulla pace, tenendo conto delle positive iniziative di cooperazione continentale cresciute in questi decenni, come l’Unione Africana e l’Unione Europea e di quelle in itinere in altre regioni del mondo.

Un Consiglio così riformato saprebbe contemperare l’aumento del numero dei membri e una giusta rappresentanza regionale con l’esigenza di preservarne e possibilmente migliorarne le capacità decisionali, fortemente compromesse dalla polarizzazione politica in corso e dall’uso ripetuto, troppo spesso strumentale, del veto da parte di membri permanenti.

L’Italia continuerà a fornire il suo attivo e positivo contributo alla redazione del Patto per il Futuro, affinché si giunga ad una visione condivisa degli strumenti e delle azioni necessarie ad affrontare assieme le sfide globali del XXI secolo.

In conclusione di questo intervento vorrei citare le parole di un Segretario Generale delle Nazioni Unite di cui si serba un prezioso ricordo.

Alla vigilia di questo Millennio, Kofi Annan ricordava come le sfide globali hanno un elemento in comune: non rispettano le frontiere e nei loro confronti anche lo Stato più forte si rivela impotente.

Considerazioni che lo portavano ad affermare che oggi “più che mai nella storia umana, condividiamo un destino comune. Possiamo dominarlo solo affrontandolo insieme. E questo è il motivo per cui abbiamo le Nazioni Unite”.

Sono parole di grande saggezza che, dopo due decenni, ci appaiono ancora più cruciali e ci debbono esortare verso un impegno proficuo per consolidare questa Organizzazione e le sue regole, in grado di promuoverle e renderle effettive.

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