Giornata mondiale della Fibromialgia – Servono maggiori politiche di inclusione

Soffrono di dolore cronico 13 milioni di italiani

 500mila hanno una forma grave e invalidante di fibromialgia

Inclusione ha effetti positivi misurabili sulla salute fisica e mentale


AgenPress. Di dolore cronico si vive: la popolazione italiana presenta una prevalenza di dolore cronico del 21,7%, che corrisponde a circa 13 milioni (12.686.335) di abitanti (Istat). Il 41% dei pazienti con dolore cronico dichiara di non aver ricevuto un adeguato controllo del dolore; ciò determina una grande inefficacia ed inappropriatezza dei processi di cura, con un conseguente peggioramento della salute e incremento della spesa corrente.

I soggetti con patologie croniche a lungo termine sono spesso giovanissimi e giovani adulti, donne in età fertile e persone con esigenze normali: andare a scuola, lavorare, fare sport. Attività che possono svolgere con supporti e ausili.

La presenza di una patologia non deve essere peggiorata da ostacoli burocratici e pregiudizi.

“Di recente abbiamo letto le storie di giovani pazienti ostacolati nei loro progetti da barriere fisiche o burocratiche. Un bambino con sindrome di down ha dovuto lasciare la propria squadra nel passaggio all’agonismo” ricorda Barbara Suzzi, Presidente di CFU Italia Odv, “Una ragazza di 14 anni con un osteosarcoma che le imponeva l’utilizzo di sedia a rotelle, ha dovuto rinunciare a studiare grafica per barriere all’accessibilità degli istituti: ascensore rotto da anni e un montacarichi inutilizzabile”.

Nelle persone con fibromialgia queste avversità sono particolarmente sentite: la società non ha ancora metabolizzato il concetto di ‘accessibilità e inclusione’. Le difficoltà riguardano ogni aspetto della vita. Perdita del lavoro, incompatibilità con le esigenze scolastiche per non parlare di chi ha dovuto abbandonare l’agonismo sportivo.

“Il prossimo 12 maggio, in occasione della Giornata mondiale della Fibromialgia, durante l’incontro con pazienti, medici e stakeholder che sì terrà a Roma presso il Circolo Sottufficiali della Marina Militare in Viale Tor di Quinto 111 dalle ore 15,00, abbiamo deciso di lanciare un appello per ampliare l’inclusione delle persone che convivono con dolore cronico”.

Il Paese deve garantire pari opportunità di inserimento scolastico, sportivo e lavorativo non solo dei sani, ma anche dei cronici. Questa possibilità non è una concessione ma una priorità che ha effetti positivi anche sulla salute mentale, qualità della vita, minore uso di farmaci.

Diffondere la cultura dell’inclusione contrasta l’esclusione, l’isolamento e la marginalizzazione. Avere un ruolo attivo e proattivo nella società è fondamentale e promuove l’autonomia e l’autostima.

Se nelle grandi aziende esistono specifici programmi di formazione, nelle medio-piccole, un lavoratore con difficoltà legate alla patologia può sentirsi molto solo, isolato e discriminato.

L’appello e le proposte

L’appello è alle strutture che accolgono persone con malattie croniche o caratterizzate dal dolore: informare gli altri dipendenti dell’impatto della malattia sulla vita professionale della persona, rinforzare le competenze per gestire la complessità delle relazioni tra le persone, applicare ogni adattamento ragionevole per migliorare le condizioni di lavoro e se possibile, creare una rete di supporto reciproco. 

Con la sigla D&I (Diversity & Inclusion) si intende un atteggiamento di sostenibilità volto all’apertura e all’accoglienza delle differenze delle varie persone. Si tratta di valori diventati sempre più importanti per l’agenda politica tanto da essere stati inseriti all’interno dell’Agenda Onu 2030 in due specifici Global Goals. AL Goal 5 sulla Parità di genere. Mira a ottenere l’uguaglianza di genere e l’empowerment di tutte le donne e le ragazze. Un dato che fa ben sperare in una diminuzione del gender gap aziendale. Mentre il Goal 10 si propone di ridurre le ineguaglianze. Si propone di limitare l’ineguaglianza all’interno di e fra le Nazioni del Mondo, che possono essere di razza, religione, età, genere o stato di salute.

Secondo un recente studio di Deloitte l’argomento inclusione è particolarmente sentito dalle generazioni più giovani: il 52% dei nativi digitali che resta in azienda per massimo due anni non è per niente soddisfatto dei progressi delle aziende circa la creazione di un ambiente di lavoro inclusivo. Percentuale che si alza al 57% quando viene considerato l’impatto sociale.

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