Coronavirus. Oxford. Regno Unito prenotato 100mln di dosi del vaccino

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Agenpress -Il Regno Unito ha prenotato le prime cento milioni di dosi del vaccino anti-coronavirus in via di sperimentazione da parte dell’università di Oxford, 30 milioni delle quali – se i test in corso avranno pieno successo – dovrebbero essere disponibili per una seconda fase di utilizzo riservato inizialmente alle persone vulnerabili a settembre.

Lo ha confermato ieri in Parlamento il ministro della Sanità, Matt Hancock, dopo la affermazioni analoghe di domenica del collega delle Attività Produttive Alok Sharma e quelle precedenti del premier.

Il prototipo, sviluppato dall’istituto Jenner dell’ateneo di Oxford in partnership fra gli altri con l’azienda italiana Advent-Irbm di Pomezia, è nato da una ricerca finanziata fin dall’inizio dal governo di Boris Johnson, che ha poi raggiunto il mese scorso un pre-accordo sulla produzione industriale in caso di successo col colosso farmaceutico AstraZeneca.

Tuttavia, il quotidiano britannico “Telegraph” avanza dei dubbi sull’efficacia immunizzante del vaccino, noto come ChAdOx1 nCoV-19, riportando le opinioni di vari esperti. Secondo quanto si legge sul sito del giornale, durante la fase di sperimentazione sulle scimmie il vaccino non avrebbe impedito alle cavie di contrarre il virus, dimostrando solo una “parziale efficacia”.

“Tutti i macachi vaccinati hanno contratto l’infezione una volta esposte al virus, come dimostrato dalla presenza del genoma RNA del virus nelle secrezioni nasali”, ha detto alla rivista Forbes citata dal Telegraph il dott. William Haseltine, ex professore dell’Harvard Medical School che ebbe un ruolo centrale nello sviluppo dei primi trattamenti per l’Hiv. “Non è stata rilevata alcuna differenza nella quantità di RNA presente negli animali vaccinati rispetto a quelli non vaccinati”.

Anche il virologo Jonathan Ball, dell’Università di Nottingham, in un tweet definisce “significativo” il fatto che la carica virale riscontrata nelle secrezioni nasali delle diverse cavie sia identica, sollecitando una rivalutazione dei test attualmente in corso sull’uomo.

La sperimentazione a cui ci si riferisce, prosegue il Telegraph, era stata condotta dal National Institute of Health’s Rocky Mountain Laboratory americano, e i risultati pubblicati in un comunicato di fine aprile. Al tempo i risultati erano stati definiti incoraggianti, ma una volta pubblicata la ricerca completa è emerso che il vaccino non avrebbe evitato alle cavie di contrarre il virus, sebbene abbia dimostrato di poter ridurre la gravità dei suoi effetti: nessuno dei macachi vaccinati, infatti, aveva sviluppato la polmonite.

Questi risultati, secondo la professoressa di Immunologia e Malattie Infettive all’Università di Edimburgo Eleanor Riley, ci danno notizie buone e cattive: “Se da una parte il vaccino ha generato anticorpi neutralizzanti e gli animali vaccinati hanno manifestato sintomi meno gravi rispetto ai non vaccinati, la quantità di anticorpi era insufficiente a prevenire l’infezione e – soprattutto – a prevenire la diffusione attraverso le secrezioni nasali”. “Se si ottenessero risultati simili nell’uomo, il vaccino fornirebbe probabilmente una protezione parziale contro la malattia ma difficilmente ne ridurrebbe la trasmissione nelle comunità”.

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