AgenPress. Il Prof. Vittorio Colizzi, docente di immunologia e patologia presso l’Università di Roma Tor Vergata, è intervenuto questa mattina nel corso del programma Genetica Oggi condotto da Andrea Lupoli su Radio Cusano Campus, soffermandosi sul tema delle vaccinazioni contro il Covid 19 in Africa.
“In Africa abbiamo una popolazione che presenta una percentuale di asintomatici molto alta, un po’ perché l’età media è bassa, sono popolazioni giovani e un po’ perché avendo avuto altre infezioni nel tempo hanno sviluppato una immunità naturale più forte. Quindi il virus circola nello stesso modo ma le popolazioni sono meno sensibili rispetto ad altre popolazioni come quella italiana.”
“Il rischio delle varianti resta più o meno invariato, ma abbiamo poche informazioni su questo. Attualmente i vaccini utilizzati in africa sono quasi tutti ad adenovirus, quindi Astrazeneca e poi molto il vaccino cinese e lo Sputnik russo.”
“I no-vax in Africa sono la maggioranza, c’è un grande problema per prepararli culturalmente alla vaccinazione. Sono culturalmente resistenti alla vaccinazione. Molti lo considerano un virus Europeo, occidentale. Il grosso lavoro da fare è quello di comunicazione alla popolazione. Il vaccino per l’epatite B per esempio è disponibile da anni, anche da loro, ma se andiamo a vedere quante persone, soprattutto sanitari, si sono vaccinate i numeri sono molto scarsi. Il problema non è solo di dosi, ma culturale e richiede tempo. Inutile fare arrivare milioni di dosi se non si è preparato un certo terreno (culturale). La percezione della morte in Africa è percepita come un fatto culturale diverso rispetto ad altri paesi. La morte è considerata un fenomeno molto più naturale che da noi. Loro dicono: ‘che senso ha vaccinarsi di un vaccino fatto in europa quando poi qui stiamo bene? Quelli che muoiono è perchè devono morire’. C’è un diverso approccio culturale”.