Suárez, Cittadinanza, Decreti sicurezza: Oportet ut Scandala eveniant

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AgenPress. Esattamente un anno ebbi la mia prima collaborazione con l’agenzia che oggi diffonde questa nota. In quella circostanza sostenni la necessità di un’abrogazione dei cosiddetti Decreti Sicurezza ed espressi la preoccupazione che piuttosto potessero essere solamente “rivisti”, con una revisione che privililegiasse gli aspetti che, al momento della firma, avevano destato maggiori perplessità nel Presidente Mattarella.

Il ricordo degli anni, o meglio decenni, che richiese smantellare l’impianto di altre leggi razziste italiane, quelle razziali, non rendeva molto difficile prevedere allora che un anno dopo i decreti sicurezza avrebbero ancora fatto parte della nostra legislazione. Così è stato, però, contro ogni pessimistica previsione, oggi è finalmente possibile leggerne proposte di modifica, e, come risultato delle polemiche che hanno fatto seguito all’esame di conoscenza linguistica di Suárez, è anche annunciata una revisione del sistema di accertamento delle conoscenze linguistiche, tema strettamente connesso a una parte di quei decreti, quella sulla cittadinanza, che, come per altro prevedemmo, non era stata considerata nelle modifiche attualmente proposte.

È innegabile che le norme che il Governo si propone di modificare sono quelle che furono oggetto delle maggiori critiche, ma forse sarebbe stata opportuna una maggiore attenzione a quelle sulla cittadinanza, non sottovalutando quanto i pregiudizi al riguardo rendano questo tema insidioso. Questi pregiudizi rendono oggettivamente difficile, ma non per questo meno necessario, introdurre nella nostra legislazione uno jus soli, imposto dalla demografia ed anche da un diritto coerente con il nostro impianto costituzionale, come da alcuni anni sostiene, purtroppo poco ascoltato, il professor Ainis.

Il palliativo a questa situazione è la rassicurante coperta offerta da uno jus culturae, identificato in un percorso di studio o nella prova di conoscenza linguistica a livello B1 che i Decreti Sicurezza hanno introdotto, insieme a una serie di apparentemente piccoli, ma di grande impatto, cambiamenti procedurali, quali il raddoppio dei tempi di decisione e l’aumento dei costi.

Il valore dello jus culturae è usato spesso per giustificare una possibile introduzione de facto del jus soli, pensando alle giovani generazioni. Tuttavia esso ha serie controindicazioni per gli adulti che, per residenza o matrimonio, desiderino richiedere la cittadinanza. Questo è emerso con chiarezza nel caso Suárez. Ragionando astrattamente chi non condivide l’idea che impedire la firma di un contratto di 10000000 di euro per un esame B1 paia insensato, anche se la causa, norma legislativa e norma calcistica, è inoppugnabile?

Una prova della poca attenzione verso il tema della legislazione sulla cittadinanza è fornita dagli atti della storica seduta del Senato del 20 agosto 2019, nella quale solamente il senatore Fantetti ricordò che i decreti sicurezza avevano raddoppiato i tempi e i costi della procedura.  Di quella seduta vorrei ricordare anche la dichiarazione del senatore Renzi, che l’Italia non è l’Alabama di sessanta anni fa. Fortunatamente!, aggiungerei, anche se troppi episodi danno a volte l’impressione che culturalmente non ne differisca troppo.

Troppi cittadini italiani questionano la parità di diritti dei nuovi italiani, mettendone in dubbio il diritto di accedere a cariche politiche (si pensi all’esperienza delle due ministre di origine straniera) e quello di elettorato passivo (casi di due candidate alle elezioni regionali in Toscana e in Veneto). In aggiunta a queste manifestazioni di intolleranza, accompagnate da un penoso linguaggio volgare e sessista, si sono lette, per limitarsi a due casi recentissimi, inqualificabili “giustificazioni”, da parte di familiari, di atti di violenza criminale (“è stato solo ucciso un extracomunitario”), o tristi comportamenti di bambini (caso del quartiere Collatino a Roma; “araba di m.”), sostenuti e appoggiati dai loro genitori.

È una fortunata circostanza per quanto riguarda le problematiche della cittadinanza, che in questi giorni il caso Suárez e il clamore che ha suscitato, abbiano contribuito a portare alla luce alcune incongruenze oggettive della prova B1, imposta dalla normativa dei Decreti Sicurezza.

La più vistosa di tali incongruenze è la frammentazione della conoscenza richiesta per il superamento della prova, che deve essere mostrata per ciascuna delle quattro parti in cui la prova è suddivisa. Se questo sia coerente col fine dell’integrazione dello straniero naturalizzato nella società italiana, o non rifletta piuttosto un desiderio di assimilazione frutto di un malcelato  razzismo suprematista lo lascio giudicare al lettore, e, comunque, auspico che questo aspetto sia rivisto (in tempi ragionevoli) dalla Commissione istituita oggi dal ministro Manfredi.

Come osservavo un anno fa, l’irragionevolezza della condizione di usare la conoscenza al livello B1 della lingua come criterio necessario per concedere la cittadinanza è provata dal fatto che apparentemente una tale conoscenza non è posseduta nemmeno da molti giovani compatrioti jure sanguinis, come indicarono le prove INVALSI di italiano pubblicate nel luglio del 2019, secondo cui un 30% degli studenti di scuola media non comprende un testo di italiano (e quindi forse non supererebbero una delle prove suddette).

Tornando alla vicenda Suárez, è però sorprendente che poco o nulla sia stato detto circa il suo aspetto più sconcertante e francamente scandaloso, anche se non certo per colpa di Suárez.  Ci sono stati commenti secondo cui ”purtroppo Suárez avrebbe potuto ricevere il passaporto solamente ai primi di ottobre”. Una tale rapidità sarebbe stata certo prova di meravigliosa efficienza della nostra burocrazia, ma difficilmente avrebbe dato ad altri futuri cittadini, cui secondo i Decreti Sicurezza, può essere richiesto aspettare quattro anni, l’impressione di aver richiesto la cittadinanza di uno Stato di uguali.

Il problema di rivedere la legislazione sulla cittadinanza non si limita però a quello dello jus soli e delle modalità  per ottenerla. La legislazione di due anni fa fu oggetto da parte dell’Associazione Studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) di un’analisi profonda delle sue criticità costituzionali, soprattutto per quanto attiene alla possibilità di revoca, ma trascurando la procedura di acquisizione.

È certo curioso e di dubbia costituzionalità che la revoca distingua i cittadini italiani per jus sanguinis da quelli ad altro titolo., ma avendo introdotto questo tema non possiamo non approfittarne per menzionare un altro dei problemi che ricordavo un anno fa. Persino la legge fascista del 15 novembre del 1938, che pose in atto una tale misura nei confronti dei cittadini ebrei di origine straniera, naturalizzati dopo il 1 gennaio del 1919, prevedeva due eccezioni una delle quali era l’aver contratto matrimoni con un cittadino italiano.

Riconosco che la rilevanza di questa ultima condizione ai fini della consecuzione della cittadinanza è andata diminuendo col tempo, ma certo l’ampliamento delle condizioni introdotto dalla richiesta della prova linguistica ha introdotto un ulteriore elemento di contrasto con la tutela alla famiglia, garantita dalla Costituzione e che, per altro, in altri contesti, è utilizzata per questionare altri diritti.

Desidero ricordare alcune delle considerazioni che, un anno fa, mi condussero a porre in dubbio la costituzionalità delle norme che condizionano a un certo livello di conoscenza linguistica la concessione della cittadinanza. Questo è il problema: i sovranisti nazionalisti considerano concessione qualcosa che dovrebbe essere semplicemente il riconoscimento di un diritto maturato per condizioni obbiettive di identificazione col paese: residenza (sempre meno importante), lavoro, legami familiari.

Rinviando chi fosse interessato a quell’articolo (https://www.alexahm.com/vulci3/2019/09/23/i-decreti-sicurezza-revisione-o-abrogazione/), ricordo che la Costituzione non attribuisce alcun primato alla lingua italiana. Affermare il contario renderebbe incomprensibile il senso dell’art.3 “senza distinzione ….. di lingua”. La legge relativa è molto rispettosa della pluralità linguistica del paese e c’è piuttosto da chiedersi se in un prossimo futuro la pluralità prevista da tale legge non imponga ampliamenti sia complementando il criterio geografico-storico con la realistica constatazione dell’esistenza nel paese di importanti comunitâ alloglotte sia nel rispetto dei diritti delle comunità italiane all’estero.

Incidentalmente una sentenza della Corte Costituzionale di due mesi fa ha dichiarato l’incosituzionalità di una norma dei Decreti Sicurezza proprio in base all’art. 3 della Costituzione.

La normativa dei Decreti Sicurezza del 2018 è di dubbià costituzionalità, quando si consideri il suo impatto sui rapporti familiari nel caso dei matrimoni misti. Essa attenta all’unità familiare, minando la parità giuridica dei coniugi e generando una disparità con i figli, sia quelli che per jus sanguinis sono italiani, sia quelli (mi si scusi l’ossimoro della famiglia allargata) figli del solo coniuge non italiano, che per effetto dei tempi allungati delle procedure non riuscissero ad ottenerla entro il compimento della maggior età.

Questi problemi sono reali e quotidiani e il diffondersi della pandemia del COVID-19 ne ha ampliato la portata riflettendosi in nuove problematiche. In un ipotetico caso di matrimonio misto, un cittadino italiano può entrare in Italia, eventualmente soggetto a quarantena, ma se il coniuge appartenesse alla lista dei paesi dei cui cittadini è  proibito l’íngresso, questo gli sarebbe precluso, così come sarebbe precluso alla prole del coniuge non italiano.

Ruth Bader Ginsburg disse che per asciugare le acque del pregiudizio si deve ricorrere a norme che creiamo in base alla saggenza delle leggi, il decoro delle istituzioni, le nostre menti pensanti e i nostri sentimenti.

Parole quanto mai sagge e necessarie in relazione alla materia discussa.

Il  nostro paese ha bisogno di normalizzare la presenza di troppi “stranieri” che di fatto stranieri non sono e soprattutto, non sottovalutiamolo, di promuovere internamente una cultura che assuma in toto il principio dell’art. 3 della Costituzione senza indulgere a miti di cittadinanze di diversa qualità.

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