A 9 ANNI, IN UN TEMA DAL TITOLO ‘COSA VUOI FARE DA GRANDE’ IO SCRISSI ‘DA GRANDE VINCERO’ LE OLIMPIADI’. E CI SONO RIUSCITO
AgenPress. Yuri Chechi è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format “I Lunatici”, condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì notte dalla mezzanotte alle sei, in onda anche su Rai 2 tra la mezzanotte e quaranta e le due e trenta circa.
La leggenda dello sport azzurro ha parlato un po’ di se: “Come è iniziata la mia avventura? Con una grande passione per quello che facevo. Ho provato diversi sport da bambino, poi ho iniziato con la ginnastica e mi sono innamorato di questo sport. E’ diventata una passione, avevo in testa l’obiettivo che volevo raggiungere, ho lavorato con grande determinazione. Sembrerà strano, io non avevo un grande talento naturale. Ho sopperito con il grande lavoro. Il talento serve, ma se vuoi continuare ad esprimerti a un certo livello non puoi puntare tutto sul talento. Lo devi accompagnare con lavoro, metodo, preparazione. Sul lungo periodo, se non ti alleni beni, non rimani a certi livelli. Come ero da bambino? Molto introverso, solitario, sono sempre stato piccolino anche di statura, con i capelli rossi, avevo anche un po’ di difficoltà a interagire col gruppo e con i compagni. Ho avuto un’infanzia tranquilla, per carità, nessun problema. Ma con un carattere introverso, che poi grazie allo sport è cambiato. A che età è nata la mia passione per lo sport? Presto, a sette anni ho iniziato a fare ginnastica. A 9 anni, mi capitò di fare un tema a scuola. Il titolo era ‘Cosa vuoi fare da grande’ e io risposi ‘da grande voglio vincere le Olimpiadi’”.
Sui sacrifici: “Ce ne sono stati tanti, ma più che sacrifici dovremmo chiamarli scelte. Difficili, necessarie, ma sono scelte, a me nessuno ha mai imposto nulla. Sai quante volte in ritiro con la Nazionale uscivamo dopo gli allenamenti per andare a fare due passi e rientravamo alle 22.30 quando gli altri uscivano. Gli altri uscivano, noi andavamo a dormire. E’ stato difficile, alcune volte ha pesato questo tipo di vita, ma erano scelte. Avrei potuto tranquillamente scegliere di andare a ballare. Mi è pesato, ma sapevo cosa dovevo fare per arrivare dove volevo arrivare”.
Ancora Yuri Chechi: “Per me il motto ‘l’importante è partecipare’ non era vero. Io volevo vincere. Nel rispetto totale delle regole, ma volevo vincere. Il momento più duro della mia carriera? I gravi infortuni prima dei giochi olimpici che mi hanno impedito di andare prima a Barcellona nel 1992 e poi a Sidney nel 2000, dove avevo grosse possibilità di mantenere l’oro. Sono infortuni che mi sto portando dietro nella vita, le rotture dei tendini sono molto difficili da recuperare non solo nello sport. I momenti più belli invece sono le medagli olimpiche. L’oro di Atlanta e il bronzo di Atene del 2004. Un bronzo che valeva un oro, nonostante quello che ho detto prima. Quel bronzo per me vale quanto un oro per come è stato ottenuto, per l’età, per il fatto che dopo l’infortunio per gli ortopedici che mi avevano operato non avrei potuto continuare. Ho smesso, poi ho ripreso e riuscire a vincere un bronzo a 35 anni agli anelli dopo quel tipo di infortunio, è stato incredibile. Ho vinto con me stesso. E’ la sfida più importante: La mia vita oggi? Fisicamente degli acciacchi ce li ho. Non pochi. Lo sport agonistico estremo non fa bene al fisico e forse neanche alla mente. Però rifarei tutto quello che ho fatto. Sono un uomo acciaccato ma appagato”.