Sanità italiana sempre più donna. 347.947 infermiere su quasi 460.000 iscritti agli ordin Rappresentano il 76,5% del comparto

AgenPress. «Le infermiere italiane, le nostre professioniste, ma anche e soprattutto le madri di famiglia, possono e devono finalmente diventare il solido punto di riferimento della tanto attesa ripartenza del sistema, sia per quanto riguarda il pubblico impiego che per quanto concerne la sanità territoriale.

Tutto questo è realizzabile solo attraverso la costruzione di un nuovo alveo di solide disposizioni che preveda, da parte delle istituzioni, il sostegno del loro delicatissimo doppio ruolo, attraverso percorsi che le mettano nella condizione di non dover forzatamente rinunciare alla crescita lavorativa per stare accanto ai figli, optando, come accade oggi, per contratti part time che riducono la portata delle proprie retribuzioni, oppure togliendo loro la possibilità di percorsi formativi per ottenere quei legittimi scatti di carriera a cui ambiscono.

Le nostre professioniste, infermiere, ostetriche ed ogni altro operatore sanitario , spesso devono rinunciare agli straordinari, che possono consentire, pur con enorme sacrificio e tempo sottratto alla prole, un giovamento economico, di supporto al coniuge, in un momento in cui il mutato costo della vita colloca il professionista della sanità pubblica, in una situazione di profondo disagio, con uno stipendio medio base di 1500 euro netti al mese che non rappresenta affatto la piena valorizzazione delle nostre competenze ».

Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.

«D’altro canto la vita della donna della sanità non può essere tutta incentrata sul lavoro: i figli, in particolare se piccoli, se in età di crescita, hanno bisogno della presenza costante della madre. Ed è per questo che vanno individuati percorsi ad hoc che siano di sostegno alla qualità del proprio tempo, quello da dedicare, negli interessi dello Stato e della collettività, alla formazione dei futuri cittadini del domani.

Le donne italiane, le infermiere, coloro che coraggiosamente scelgono di formare una famiglia in un momento in cui la natalità del nostro Paese è ai minimi storici, e nello stesso tempo sono un punto di riferimento, grazie alle proprie capacità professionali e umane, per la tutela della salute del paziente, dentro e fuori le corsie di un ospedale, vanno sostenute e quindi incoraggiate nella loro straordinaria doppia veste, e non obbligate a rinunce gravose.

Tutto questo si può realizzare arrivando a renderle, con le proprie competenze, protagoniste e non certo vittime del sistema.

I turni massacranti, le scarse retribuzioni, le violenze fisiche e psicologiche di cui sono vittime con oltre il 70% dei casi denunciati, rappresentano il triste scenario in cui rischiano di essere poco serene, fuori e dentro il contesto sanitario.

I numeri dicono che sono loro, negli ultimi mesi, ad essersi rese protagoniste del più alto numero di dimissioni volontarie dalla Sanità pubblica, oppure nella migliore delle ipotesi, alla fuga dai reparti nevralgici, come i pronto soccorsi, snervate da una organizzazione deficitaria che, vista la carenza di personale, le mette nella condizione, al pari degli uomini, di doversi occupare anche, da sole, di 20 pazienti per volta nelle aree triage.

E’ innegabile, da un lato, lo rivelano i numeri inconfutabili, che la professione infermieristica italiana è sempre più donna, con le nostre professioniste che con 347.947 su quasi 460.000 iscritti agli ordini, rappresentano infatti il 76,5% dei professionisti infermieri. Si va dal 83,6% del Nord al 77,7% del Centro fino al 66,5% del Sud e Isole. Dei 9,426 infermieri pediatrici iscritti agli ordini, poi, 9.235 sono donne (il 98%).

Tutto questo non può non essere tenuto in considerazione, tutto questo non può non farci riflettere e agire per ricostruire, dalle fondamenta, un sistema sanitario che sia, per la donna-infermiera, l’habitat naturale perfetto per metterla nella condizione, come sa fare, di esprimere al meglio le proprie capacità al servizio della salute dei malati, e nel contempo di coltivare la legittima ambizione di essere madre a perno della famiglia.

Uno sguardo a ciò che accade in Europa è doveroso, non dimenticando che realtà a noi geograficamente vicine come il Regno Unito, sono da tempo sul piede di guerra, forti nella loro richiesta di una sanità più forte, che tuteli principi come la flessibilità del lavoro e guardi alla prospettiva di retribuzioni in linea con il mutato costo della vita. E parliamo di contesti dove, gli stipendi degli infermieri, sono lontani anni luce dai nostri e dove si ragiona su una base di oltre 3mila euro netti mensili.

Un recente report di Lenstore ha analizzato 30 Paesi europei per scoprire quali offrono le migliori opportunità alle donne impiegate nel sistema sanitario nel 2022, prendendo in considerazione il salario, le ore di lavoro e i giorni di ferie.

La Francia è il Paese migliore in Europa per le donne impiegate nel settore sanitario, riportando il numero più alto di donne iscritte alla facoltà sanitarie: 110mila, più del doppio rispetto a tutti gli altri Paesi analizzati nello studio. I francesi sono anche generosi per quanto riguarda il diritto alle vacanze, offrendo fino a 34 giorni di ferie all’anno, secondi solo alla Slovenia, che offre ai suoi lavoratori 35 giorni di ferie all’anno.

L’Olanda e la Finlandia occupano la seconda e la terza posizione. Le donne impiegate nel settore sanitario in Olanda lavorano solo 25 ore alla settimana (l’orario lavorativo più corto in Europa) e ricevono un salario annuale medio di 42.276,00 euro. La Finlandia ha una percentuale di donne impiegate nel settore sanitario pari all’86%.

L’Italia, neanche a dirlo, tristemente, non si colloca nemmeno tra i primi 10», conclude De Palma.

 

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