Nursing Up, De Palma: “Aggressioni operatori sanitari, chiediamo subito l’apertura di una indagine parlamentare”

AgenPress. «Uno scenario desolante, figlio di un drammatico e dilagante fenomeno di mal costume sociale, che si ripete troppo spesso, quasi ogni giorno, come fosse lo stesso identico copione di un film dal finale scontato.

Con l’unica differenza, sostanziale, però, che qui siamo di fronte ad una realtà quotidiana, e non certo alla finzione, dove si consumano, quotidianamente, aggressioni verbali e fisiche che minano nel profondo il corpo e la dignità dei professionisti della sanità italiana, già messi a dura prova da un sistema che, decisamente, continua da troppo tempo a imbarcare acqua come una nave alla deriva.

Partiamo dagli ultimi episodi alla ribalta della cronaca, per poi raccontare, alla collettività, i contenuti del nostro nuovo report, frutto delle testimonianze raccolte sul campo dai nostri referenti locali».

Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.

«Quanto accaduto, qualche giorno fa, all’Umberto I di Roma ci lascia a dir poco attoniti . Una infermiera del reparto di pediatria è stata addirittura aggredita in un parcheggio, da parte dei genitori di un bambino ricoverato, che oltre tutto, incredibilmente, “chiamavano all’appello”, a supporto dell’aberrante e vile azione messa in atto nei confronti di una donna indifesa, anche altri parenti, consumando nei suoi confronti una rabbia ingiustificabile per i presunti ritardi nella gestione della patologia del figlio.

E mentre ci chiediamo, con l’ennesimo stupore, fino a che punto si può spingere l’ingiustificata furia cieca di un un gruppo di cittadini, oltre tutto genitori, che arrivano al punto di picchiare una donna mettendo in atto nei suoi confronti una sorta di spedizione punitiva, di raid di gruppo, aggredendola al di fuori del luogo di lavoro, abbiamo voluto, nei giorni addietro, attraverso i nostri referenti presenti negli ospedali romani, cominciare a capire fino in fondo, guardando prima di tutto negli occhi i colleghi e parlando con loro, come abbiamo sempre fatto, cosa sta accadendo di preciso.

Soprattutto stiamo cercando di approfondire, e le nostre indagini sono naturalmente ancora in corso, quali siano le diverse problematiche degli ospedali del Lazio, dal momento che le situazioni possono essere differenti da struttura a struttura. Ci chiediamo, innanzitutto, se davvero qualcosa di concreto è cambiato, o almeno se sta cominciando a cambiare, da quando, da fine gennaio, in molti ospedali della Capitale sono tornati i presidi di pubblica sicurezza.

La nostra  indagine, sollecita riflessioni che oggi sono prima di tutto frutto di testimonianze e racconti. E naturalmente, lo ripetiamo, stiamo approfondendo, doverosamente, ogni singola questione, non lasciando nulla di intentato. Ecco i punti chiave del nostro lavoro .

  1. Siamo di fronte ad un aberrante fenomeno, lo ripetiamo, di drammatico mal costume sociale, che non può essere giustificato dai ritardi e dalle lunghe attese nei pronto soccorsi.

La sanità italiana, è pur vero, attraversa un momento delicatissimo: cittadini e operatori sanitari pagano a caro prezzo anni di austerity e di immobilismo negli investimenti, quelli indispensabili, di cui un Paese civile ha bisogno con continuità. Siamo tra i Paesi europei che ha investito di meno nel proprio sistema sanitario negli ultimi anni, ricominciando ad attuare, gioco forza, in fretta e furia, piani risolutivi, quando è esplosa l’emergenza sanitaria. Ma è stato come mettere una fragile toppa di stoffa sul cratere di un vulcano attivo. Tutto questo, però, non giustifica affatto quanto accade ogni giorno. Le lacune strutturali del sistema non possono e non devono ricadere sulle nostre teste come continui macigni lanciati dall’alto. L’esasperazione dei pazienti e dei loro parenti ha toccato livelli davvero preoccupanti.

I professionisti della sanità, nell’esercizio delle proprie funzioni, impegnati ogni giorno a combattere per la tutela della salute degli italiani, vengono da troppo tempo identificati come la causa scatenante dei disservizi, finanche della morte di un paziente giunto in un pronto soccorso già in fin di vita e con un arresto cardiaco in corso.

  1. Le aggressioni al personale sanitario, questo deve apparire in modo indiscutibile agli occhi della collettività, non rappresentano ormai più un’eccezione, e quindi va data una organizzazione opportuna, ospedale per ospedale, realtà per realtà, per evitare che professionisti, uomini e in particolare donne, i dati inconfutabili dicono che sono le loro “le vittime preferite” della rabbia di cittadini esasperati, subiscano ancora vili e vergognose aggressioni fisiche e verbali.
  2. Ci risulta, da nostre indagini accurate, che la maggior parte dei presidi di pubblica sicurezza, ripristinati a Roma e nel Lazio dal Ministero degli Interni, siano attivi “solo” dalle 8 alle 20 e per giunta dal lunedì al venerdì. Durante gli orari notturni, i poliziotti verrebbero sostituiti da vigilantes, che però non garantirebbero la loro presenza in modo continuativo, girando costantemente nei pronto soccorsi come sarebbe necessario. Tutto questo potrebbe alla fine non bastare. Ci sono inoltre ospedali immensi, come l’Umberto I, come il San Camillo-Forlanini, dove un reparto dista anche mezz’ora a piedi da un altro. Ed ecco che, alla fine, la violenza sarà bella che consumata, e i pugni e i calci arriveranno molto prima dell’intervento risolutivo degli uomini della pubblica sicurezza, anche se chiamati tempestivamente.
  3. Vanno individuati dei protocolli specifici: i poliziotti dovrebbero ad esempio muoversi  in modo costante all’interno del presidio ospedaliero , ovviamente nelle aree a cui ha accesso il pubblico, , perché in questo caso loro presenza può fare da deterrente e arginare sul nascere l’aggressione che sta per esplodere ai danni dell’operatore sanitario di turno.

Nursing Up, chiede l’immediata apertura di una accurata indagine parlamentare, con analisi approfondite, supportate da ispezioni dettagliate, sul campo, finalizzate ad analizzare lo stato dell’arte del fenomeno, e che facciano da impulso verso le Regioni, per la produzione di modelli organizzativi di contrasto ad hoc.  

Insomma, continua De Palma, si parli con gli infermieri e con gli altri operatori sanitari che ogni giorno lavorano negli ospedali italiani, si raccolgano le loro testimonianze, lo facciano in primis la politica e le autorità competenti.

Le Regioni, dal canto loro, coordinandosi anche con il Ministero degli Interni, assumano la responsabilità di mobilitare i propri tecnici, per lavorare sull’adozione di linee guida uniformi per rispondere, azienda per azienda ed ospedale per ospedale, alle differenti criticità di volta in volta emergenti, e per individuare azioni mirate, integrandosi con le azioni delle forze dell’ordine, per attuare un piano sinergico. 

L’incolumità dei professionisti della sanità, uomini e donne, madri e padri, rappresenta una priorità ed una precisa responsabilità dei datori di lavoro. E soprattutto si mettano in atto, finalmente, interventi mirati per arginare i fenomeni delle aggressioni, e certo non azioni a metà che rischiano, amaramente, di non condurre allo scopo prefissato», chiosa De Palma.

 

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