La Cina è il più grande carcere al mondo per scrittori e poeti. 73 arresti nel 2019

Agenpress – La Cina è in cima al Freedom to Write Index , dopo aver tenuto almeno 73 scrittori e intellettuali pubblici in prigione o in detenzione per i loro scritti nel 2019. La nuova analisi di PEN America, attingendo a fonti tra cui il vasto caso di PEN International , rileva che il più delle volte, la Cina usa la scusa della sicurezza nazionale e la “sovversione del potere statale” per imprigionare gli scrittori.

Nei primi mesi del 2020, scrittori, cittadini giornalisti e attivisti in Cina sono stati arrestati dalle autorità nell’ambito di una campagna governativa per controllare le narrative nazionali e internazionali sulla pandemia di COVID-19. A completare i primi tre, l’Arabia Saudita ha detenuto 38 scrittori e intellettuali in detenzione o in carcere l’anno scorso e la Turchia ne ha detenuti 30.

In Cina , le violazioni della “sicurezza nazionale” comprendono oltre la metà dei 73 casi di scrittori e intellettuali detenuti o detenuti (40 su 73, circa il 55%).

“L’elevato numero di scrittori e intellettuali detenuti o incarcerati in Cina riflette una repressione in corso sotto il presidente Xi Jinping”, si legge. Un totale di 73 scrittori e intellettuali sono stati incarcerati in Cina.

Sono 34 i letterati, 23 gli studiosi e 17 i poeti. Ci sono il libraio di Hong Kong Gui Minhai, i poeti Xu Lin e Wang Yi, l’editore Yao Wentian, gli scrittori Lü Gengsong e Lu Jianhua. C’è chi è imprigionato per avere raccontato la Cina della Rivoluzione culturale, quando Pechino tentò di fare tabula rasa di ogni tradizione premaoista. Lhamjab Borjigin è uno scrittore e studioso di etnia mongola che ha trascorso anni a raccogliere storie di sopravvissuti alla violenza della Rivoluzione culturale.

E’ perseguitato per il libro “La rivoluzione culturale cinese”, che descrive la tortura e altre brutalità inflitte dal Partito comunista cinese. Lhamjab è stato posto agli arresti domiciliari e le autorità hanno confiscato copie del libro. Kunchok Tsephel Gopey Tsang, scrittore, poeta e studioso tibetano, è stato condannato a quindici anni di carcere, dove le visite della sua famiglia sono limitate e sono costretti a parlare in cinese. Di fatto gli è stato impedito di comunicare. Jo Lobsang Jamyang, anche lui letterato tibetano, è stato tenuto in isolamento per oltre un anno, un periodo durante il quale ha subìto torture.

E’ un buco nero dentro al quale sono finiti anche i critici del regime cinese durante la pandemia. La polizia di Pechino ha arrestato il professor Chen Zhaozhi per avere scritto: “La polmonite di Wuhan non è un virus cinese ma un virus del Partito comunista cinese”. Il Pen parla del caso del professor Xu Zhangrun, agli arresti dopo avere pubblicato un saggio contro la repressione sotto il presidente Xi. “L’epidemia di coronavirus ha rivelato il nucleo marcio della governance cinese”, ha scritto il professor Zhangrun. Ha aggiunto che il sistema cinese “valorizza il mediocre, il delatore e il timido” e che il disordine causato dai funzionari di Wuhan che hanno coperto i primi segni del virus “ha infettato ogni provincia e la putrefazione arriva fino a Pechino”. Gli account social del professore sono stati disattivati, il suo nome è stato cancellato da Sina Weibo, una piattaforma di blog cinese, e ora solo articoli di siti web ufficiali vengono visualizzati sul più grande motore di ricerca del paese, Baidu.

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