Dimissioni volontarie infermieri, ecco gli effetti delle violenze ai danni degli operatori sanitari

AgenPress. «Abbiamo volutamente atteso per porre le nostre nuove riflessioni, abbiamo espressamente aspettato che trascorressero esattamente 24 ore dalla Giornata contro la Violenza ai danni di operatori e operatrici sanitarie: lo abbiamo fatto allo scopo di chi, ragionando a mente fredda, modus operandi che spesso ci contraddistingue, analizzando a fondo la situazione, possa avere la possibilità di andare oltre, di superare le cifre, i numeri, i dati, pur facendoli propri e riconoscendone l’indubbio valore, ma con l’obiettivo concreto di porre alla collettività nuovi doverosi quesiti.

La Giornata del 12 marzo, con la quale le istituzioni hanno voluto doverosamente porre a conoscenza dei cittadini i nuovi allarmanti dati sulle aggressioni agli operatori sanitari italiani, non può rimanere fine a se stessa, pur mettendoci davanti contenuti drammatici.

Le cifre, i report, di cui noi stessi come sindacato nazionale infermieri spesso ci rendiamo protagonisti, si rivelano fondamentali per comprendere la gravità della situazione, ma nel contempo occorre scavare a fondo e arrivare alla lucida conclusione che le parole non bastano, che le grida di allarme non sono sufficienti, se poi, di fatto, non viene posto in essere, ad oggi, non ancora almeno, da parte di chi di fatto è legalmente responsabile della tutela della sicurezza dei propri dipendenti, un piano risolutivo per arginare alla radice il triste fenomeno, che ha preso le dimensioni di un preoccupante mal costume, lo ripetiamo da tempo.

Siamo stati i primi, forse gli unici, qualche giorno fa, a far notare alla collettività che i tanto attesi presidi di pubblica sicurezza, ne sono stati riattivati ben 51 dallo scorso gennaio, al momento garantiscono la presenza di agenti di polizia, e questo accade nella maggior parte degli ospedali coinvolti nel nuovo piano sicurezza del Ministero degli Interni, solo dalle 8 alle 20 e dal lunedì al venerdì.

Cosa succede di notte nei pronto soccorsi di strutture che coprono bacini di utenza enormi?

Come si può abbandonare gli operatori sanitari a se stessi, addirittura nei fine settimana, quando le aree di pronto intervento sono congestionate all’inverosimile a causa dell’assenza dei medici di base?

Non ci inventiamo nulla quando ricordiamo a chi legge i nostri comunicati che, con “il favore delle tenebre”, in città come Napoli, in ospedali come il Cardarelli, uno dei più grandi d’Italia, dove addirittura il famoso presidio manca ancora all’appello, fanno la loro “macabra presenza” soggetti con dipendenze, addirittura armi, lo dicono i fatti di cronaca, per non parlare di persone alle prese spesso con una rabbia incontrollabile, quando, un solo infermiere deve prendersi cura da solo di ben 20 pazienti a causa della carenza di personale, le aree triage sono affollatissime e si registrano ore e ore di attesa che scatenano l’inferno.

Rivediamoli questi numeri, doverosamente, che fanno riferimento ai nuovi dati delle aggressioni contro gli operatori sanitari, non mancando di ricordare che anche il Ministro della Salute, Schillaci, è intervenuto per far presente che ci troviamo alle prese con un vero e proprio dramma sociale, con le donne, le nostre infermiere, che rappresentano in assoluto la categoria che subisce maggiormente pugni, calci, schiaffi, minacce, in uno scenario vergognoso, poco degno di un Paese Civile.

Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.

“Sul fenomeno delle aggressioni ai sanitari è attivo un osservatorio, ho preparato una relazione che verrà inoltrata al Parlamento entro la fine di questo mese”, ha detto il Ministro. “Nel triennio 2019-2021 sono stati denunciati e riconosciuti 4.821 infortuni legati a episodi di violenza”.

Quasi 5.000 episodi di aggressioni in corsia in tre anni, ovvero circa 1.600 l’anno, dalle minacce fino a lesioni più o meno gravi. E in 7 casi su 10 la vittima è una donna. Ma i numeri, seppur già molto elevati, sono solo la punta dell’iceberg. Ce ne sono 26 volte di più, sono circa 125mila, infatti, i casi non registrati. E le più vulnerabili sono ancora le donne: “Per il 75% sono violenze che coinvolgono il nostro personale femminile e nel 40% circa dei casi si è trattato di violenze fisiche. Vere e proprie aggressioni che hanno lasciato il segno. Il 33% delle vittime è caduto in situazioni di burnout e il 10,8% presenta danni permanenti a livello fisico o psicologico.

“Sono numeri preoccupanti – ha commentato ancora l’esponente del governo – e soprattutto nella settimana della festa della donna gran parte delle violenze sono accadute a carico di operatrici sanitarie, in particolare di infermiere, e questo mi rattrista ancora di più”.

“Credo che il Sistema Sanitario nazionale italiano sia validissimo, soprattutto i suoi operatori sono tra i migliori al mondo, e noi cerchiamo di difenderlo in tutti i modi per assicurare una sanità a tutti, indipendentemente da dove vivono e da quanto guadagnano”.

«L’intervento del Ministro Schillaci dimostra come, certamente, il Governo abbia preso coscienza della gravità del problema, dice ancora De Palma.

Ma dobbiamo anche ammettere, palesemente, e ci mettiamo nei panni degli infermieri vittime di queste aggressioni, e per alcuni si tratta di ben più di un episodio a livello personale, che siamo stanchi e logorati, delusi e amareggiati non solo da quanto sta accadendo. Ci rendiamo anche conto, di fatto, che la tutela dell’incolumità degli operatori sanitari, lo dimostrano questi numeri, è ben lontana dall’essere garantita nella sua totalità. E non vorremmo mai doverci tristemente abituare a questa vergognosa situazione, come se tutto fosse all’ordine del giorno e nessuno potesse far nulla per evitarlo.

Scusateci, ma ancora una volta proviamo a pensare per un solo istante a cosa provi una donna, una madre, una moglie, che magari per ben due volte, non una, è stata aggredita da un estraneo, che l’ha colpita con una rabbia inspiegabile, solo perché un paziente attendeva da ore di essere visitato in un pronto soccorso.

Provate a immaginare come si sente questa donna, questa professionista, con le ecchimosi sul volto o con i lividi sulle braccia, quando torna a casa e guarda negli occhi i propri figli e il marito.

Perdonateci, allora, se vogliamo andare oltre, se vogliamo ricordarvi che da nord a sud, i più colpiti dal ciclone delle violenze sono gli infermieri e che siamo sinceramente sorpresi del fatto che taluni sindacati di medici, prima e dopo questa giornata, abbiano in qualche modo alzato gli scudi e confutato i dati, inserendo poi nell’argomento, di fronte ai media nazionali, anche la questione carenza personale e stipendi.

Davvero sarebbero i medici a subire il gap più pesante, rispetto agli altri Paesi europei, in termini di retribuzioni e di mancanza di professionisti?

Davvero sarebbero i medici a subire maggiormente le violenze consumate negli ospedali?

Lasciamo rispondere a chi non ha certo l’anello al naso ma conosce bene i contenuti delle nostre denunce, corroborati da numeri attendibili, continua De Palma.

Rimane il fatto che gli infermieri sono avviliti e demoralizzati, e le parole da sole, senza i fatti, pronunciate nelle “giornate celebrative”, servono davvero a poco, se dopo poche ore dai proclami che raccontano di Osservatori e di indagini governative, un altro infermiere, l’ennesimo, in un ospedale italiano chissà dove, durante un turno di notte, senza nessun agente di polizia che presidia il pronto soccorso, viene preso a calci e pugni.

Riflettiamo, poi, doverosamente, sulle conseguenze disastrose di quanto sta accadendo, quelle che ricadono come macigni sulla già fragile stabilità della sanità italiana.

Ci riferiamo al drammatico fenomeno delle dimissioni volontarie dei professionisti. In Italia sono due milioni e 587 mila i lavoratori che si sono dimessi nel 2021, il 30% in più rispetto al 2020 ed il 6% in più al 2019. Nella sanità si registra il 400% in più di dimissioni volontarie rispetto ad altri settori del mondo del lavoro.

Un attendibile report italiano (Studio Esplorativo Ambrosi dal titolo “L’intenzione di lasciare l’ospedale degli infermieri con esperienza lavorativa”), ha rilevato, inoltre, che il 34,4% degli infermieri prevede di lasciare l’ospedale ad un anno dell’assunzione ed il 43,8% aveva inviato richiesta di trasferimento. Sono le conseguenze che, come un boomerang, si abbattono e continueranno ad abbattersi sulla nostra collettività, se non saranno previsti piani risolutivi che argineranno sul nascere le aggressioni contro i nostri professionisti.

E allora abbiamo voluto attendere, questa volta abbiamo voluto dire la nostra a mente fredda. E che gli infermieri, così come gli altri operatori sanitari, non meritano di sentirsi abbandonati a se stessi. Perché quello che sta accadendo dimostra come la soluzione del fenomeno è ancora lontana», chiosa De Palma.

 

 

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