Consulta. No al referendum su droghe perché contraddittorio e inidoneo allo scopo

AgenPress – Il quesito referendario sull’“abrogazione di disposizioni penali e di sanzioni
amministrative in materia di coltivazione, produzione e traffico illecito di sostanze
stupefacenti o psicotrope” è inammissibile, secondo la costante giurisprudenza
sull’articolo 75 della Costituzione, perché si pone in contrasto con le Convenzioni
internazionali e la disciplina europea in materia, difetta di chiarezza e coerenza
intrinseca ed è, infine, inidoneo allo scopo.

È quanto ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 51 depositata
oggi (redattore Giovanni Amoroso).

Il Comitato promotore ha articolato il quesito referendario in tre parti,
riguardanti la depenalizzazione della coltivazione della cannabis, l’eliminazione della
sanzione della reclusione da due a sei anni per tutti i reati concernenti le droghe
leggere e l’esclusione della sanzione amministrativa della sospensione della patente
di guida in caso di uso personale di stupefacenti, sia di tipo pesante sia di tipo leggero.

La Corte ha rilevato che l’eliminazione della parola “coltiva” dal primo comma
dell’articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti – oggetto della prima parte del
quesito referendario – farebbe venir meno la rilevanza penale anche della
coltivazione delle piante da cui si estraggono le droghe pesanti (papavero sonnifero
e foglie di coca), e ciò sebbene la richiesta referendaria, secondo le intenzioni dei
promotori dichiarate in giudizio, mirasse a depenalizzare le sole condotte di
coltivazione “domestica” e “rudimentale” delle piante di cannabis.

La Corte ha ritenuto che la lettura riduttiva prospettata dai promotori non è in
alcun modo ricavabile dal testo normativo. Attraverso il richiamo testuale alla
Tabella I, la “coltivazione” di cui si parla al comma 1 dell’articolo 73 non può che
riferirsi alle droghe pesanti, e non già solo alla cannabis che, invece, è compresa nella
Tabella II, richiamata dall’articolo 73, comma 4, del medesimo Testo unico.

La richiesta referendaria – secondo il suo contenuto oggettivo, unico rilevante
– avrebbe condotto quindi alla depenalizzazione della coltivazione di tutte le piante
da cui si estraggono sostanze stupefacenti, pesanti e leggere, con ciò ponendosi in
contrasto con gli obblighi internazionali derivanti dalle Convenzioni di Vienna e di
New York e con la Decisione Quadro 2004/757/GAI.

Inoltre, la Corte ha osservato che il risultato perseguito dalla richiesta
referendaria neppure sarebbe stato raggiunto, in quanto sarebbero rimaste
nell’ordinamento altre norme, non toccate dalla richiesta referendaria, che
sanzionano la coltivazione della pianta di cannabis nonché di ogni altra pianta da cui
possono estrarsi sostanze stupefacenti (articoli 26 e 28 del Testo unico sugli
stupefacenti). Ciò rendeva, in questa parte, il quesito “fuorviante” per l’elettore.

Con riferimento alla seconda parte del quesito, la Corte ha evidenziato un
profilo di manifesta contraddittorietà, perché l’abrogazione della pena detentiva per
le condotte aventi ad oggetto le sole droghe leggere avrebbe determinato una
stridente antinomia con il trattamento sanzionatorio di analoghi fatti, ma di «lieve
entità». Per questi ultimi, infatti, sarebbe rimasta comunque in vigore la pena
congiunta della reclusione e della multa; ciò avrebbe finito per porre l’elettore di
fronte a una scelta illogica e contraddittoria.

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