AgenPress – La giornalista iraniana Nazila Maroufian, 23 anni, che ha intervistato il padre di Mahsa Amini ha raccontato di essere stata ripetutamente stuprata durante il suo ultimo arresto e che ora stava facendo lo sciopero della fame in prigione.
La giornalista di Saqqez è stata arrestata con l’accusa di “propaganda contro il sistema”, “diffusione di notizie false”, per non indossare il velo. In questi mesi di proteste non ha mai ceduto alle minacce del regime che la vuole silenziare e ha continuato a denunciare sui social, guadagnandosi la fama di “coraggiosa”.
“Sono con il popolo iraniano. Faccio tutto questo per me stessa ma anche per tutte le donne che soffrono, perché è una cosa che succede, e chi non ne parla ha le sue ragioni ad avere paura, ma durante gli interrogatori, nelle stazioni di polizia, le persone vengono aggredite verbalmente e sessualmente”.
“Hanno abusato di me nelle peggiori condizioni, mentre venivo arrestata a casa mia”, ha detto nel messaggio audio dalla prigione di Evin a Teheran pubblicato dai media esterni all’Iran, tra cui Iran International e Radio Farda, nonché il Kurdistan Human Rights Network (KHRN). e Centro per i diritti umani in Iran (CHRI).
L’arresto però, il quarto, è collegato anche allo scorso 30 agosto, quando intervistò il padre di Mahsa Amini, la 22enne di origine curda che morì il 16 settembre dopo essere stata messa in custodia dalla polizia morale per non aver indossato il velo in modo corretto; la ragazza, aveva dato il via alla stagione di ribellione e repressione nella Repubblica Islamica insieme allo zio Safa Aeli, 30 anni, recentemente prelevato senza alcun mandato legale a Saqqez.
Maroufian, originaria di Saqez, città natale di Amini, nell’Iran occidentale popolato da curdi, ha detto nel suo messaggio che ora è in sciopero della fame per protestare contro la sua situazione e quella di tutte le donne che subiscono violenza nelle stazioni di polizia e nelle carceri.
“Questo sciopero è per me ma è anche per tutte le donne in condizioni terribili in Iran”, ha detto nel suo messaggio, che sembra essere stato registrato durante una telefonata alla sua famiglia, che ha anche condiviso le foto dei lividi che dice di aver subito. nell’assalto.
Anche se rinchiusa nella peggiore delle celle d’Iran — dove si trovano migliaia di dissidenti politici, giornalisti e artisti — Maroufian fa un’azione coraggiosa e molto pericolosa. Conferma la più grande delle paure delle ragazze e della famiglie iraniane: le guardie violentano. Era già stato detto che nelle carceri, gli adepti degli ayatollah stuprano uomini e donne come strumento di tortura. Una ragazza con cui abbiamo parlato raccontava che si tratta di una pratica così comune che molti genitori, quando fanno visita ai figli in prigione, portano pillole del giorno dopo, così da non rischiare gravidanze.