Ad ogni cosa il suo nome
AgenPress. Quanto sdegno ed anche quanta riflessione dovrebbero indurre accadimenti inaccettabili come quelli che testimoniano le inaudite violenze di Palermo e Caivano, consumate su una giovane ragazza e su due bambine di appena 10 e 12 anni.
In queste storie che sembrano così distanti dalla maggior parte dei nostri vissuti e che pure ci accadono affianco, ci sono mille responsabilità oltre quelle di chi li ha materialmente commessi, anche quella di tutti noi che sbagliamo nel non usare la terminologia giusta per la definizione di quel che succede.
Sbagliamo tutti, infatti, nel continuare a chiamarli stupro o violenza sessuale, perché quegli atti sono veri e propri omicidi. Si, esattamente omicidi e come tali dovrebbero essere prevenuti, trattati e puniti. Quegli atti inqualificabili uccidono, nelle loro vittime e forse non solo in loro, ogni traccia di autostima, di amor proprio, di equilibrio, ogni compiuta consapevolezza di se stesse.
Uccidono il diritto al piacere, alla gioia. Il diritto a riconoscere un amore sano ed a poterlo vivere come tale . Uccidono il diritto a sapersi difendersi da ulteriori violenze e soprusi , ad avere una vita serena ed appagante.
Uccidono anche il diritto a sonni tranquilli non turbati da incubi e quello ad avere giorni senza sentirsi continuamente in trincea costrette a doversi difendere persino dalle ombre. Uccidono ogni forma di fiducia, in se stesse, negli altri, nella vita. Non c’è molto che possano fare, successive, pur adeguate psicoterapie, nei rari casi in cui sia possibile garantirle né adeguati sostegni affettivi, ancora più rari.
Ciò che a quelle bambine come a tutte le vittime di queste assurde ed inaccettabili violenze, è tolto dall’incubatrice dei loro sogni, è tolto per sempre. Per sempre in loro le occasioni di amore prenderanno le sembianze del dolore, della sopraffazione, della umiliazione. Privare una vita di tutto ciò che ne costituisce la parte più bella, che ne alimenta l’entusiasmo, che da origine alla determinazione ed alla intraprendenza, non può che essere chiamato omicidio, perché ciò che resta di una vita così ferocemente violata non è più la vita che ognuno ha il diritto di vivere è solo un suo simulacro che, peggio dell’omicidio, non consente neanche la pace dell’oblio.
Anche chiamare branco questo ammucchiamento di ferocia, non è esatto, è inesatto il richiamo al mondo animale perché nessun animale conosce la violenza fine a se stessa. Gli animali attaccano solo per istinto di sopravvivenza e per difesa e nessun animale, dopo aver stabilito equilibri di forza con altri animali, continua ad infierire, ad infierire per il mero gusto di farlo sono solo gli uomini. Questo accade perché le leggi della natura contemplano e premiano il coraggio mentre quelle di una società materialistica e superficialmente edonistica tollerano la viltà.
Da ultimo, il più grave degli errori terminologici nei quali incorriamo nella narrazione di questi fatti, è dato dall’ ambiguità nell’utilizzo dei termini forza e violenza che determina la suggestione che siano sinonimi e che, nella violenza, vi sia una qualche attestazione di forza. La violenza, invece, è la più evidente dimostrazione di vigliaccheria e di scadimento. La forza, quella vera, è capacità d’intima persuasione che si avvale di argomenti, la violenza, invece, è sempre e solo espressione di vergognosa viltà e di assenza di ogni capacità di raggiungere medesimi risultati con azioni e comportamenti legittimi. I dolorosi recenti episodi di Palermo e di Caivano ci ricordano che queste forme di violenza non sono una momentanea emergenza ma un fenomeno strutturale, causato e consentito da circostanze multifattoriali nella quali giocano un ruolo primario aspetti sociali resi possibili dalla totale assenza di adeguate politiche, dalla disfunzionalità dei presidi preposti e dallo stato di totale degrado nel quale si lasciano, abbandonate, intere fasce della popolazione, ma anche da fattori culturali politici e relazionali, che sono tra loro tutte concause interdipendenti.
La maggiore frequenza di questi accadimenti testimonia la necessità di mettere in campo e di scegliere una rappresentanza politica che sappia, principalmente attraverso l’esempio, e non con sterili proclami, restituire dignità al concetto di Forza ed esprimerlo compiutamente come forza del pensiero, della etica, della visione, della realizzazione, dell’intervento misurato ed adeguato e, soprattutto, che sappia definire nettamente il discrimine tra la violenza, che è sempre distruttiva e la vera Forza che è, invece, sempre costruttiva ed atto diretto alla realizzazione di una vita migliore per tutti e non solo per ristrette e privilegiate oligarchie.
E’ quanto dichiara, in una nota, il Presidente della Federazione Civici Europei Avv. Francesca Straticò in merito alle violenze di Palermo e Caivano.