AgenPress. Grazie davvero a tutti i nostri relatori, ai nostri testimonial, a Gianni, a tutte le persone che sono presenti, al Sottosegretario Mantovano.
Un saluto particolare al Presidente della Camera, al Vicepresidente del Senato, ai Ministri.
Voglio dirvi che sono sinceramente contenta di essere qui oggi con tanti ragazzi, tante ragazze per celebrare insieme la 36esima Giornata mondiale contro la droga istituita dalle Nazioni Unite nel 1987.
Sono felice per il significato – passatemi il termine – quasi rivoluzionario che ha essere qui oggi: governo, istituzioni, testimonial, settore pubblico, privato sociale, comunità terapeutiche, esperti del settore ma soprattutto famiglie, giovani, insegnanti. Perché sì, noi abbiamo una giornata mondiale contro le droghe, ma particolarmente negli ultimi anni attorno a questa scadenza c’è stata sostanzialmente soprattutto indifferenza. Allora non è scontato essere qui oggi perché, banalmente, non è avvenuto in passato.
Si è preferito tenere i riflettori spenti sul tema della droga, sul fenomeno che pure era sotto gli occhi di tutti: essere crescente delle dipendenze patologiche. Su un’emergenza della quale noi fingiamo di accorgerci solamente quando arriva la tragedia, con un’indignazione a intermittenza che dura lo spazio di una notizia, il tempo necessario a piangere la vittima di quella tragedia e che poi scompare molto spesso senza neanche citare la causa che ha portato a quella tragedia, cioè la droga, cioè la dipendenza – lo abbiamo visto anche in questa settimana – perché farlo comporterebbe inevitabilmente un esame di coscienza su come è stata trattata questa emergenza.
Perché di fatto è come se noi considerassimo la droga alla stregua di una calamità, alla stregua di qualcosa che è imprevedibile, che è imprevisto, che è inevitabile.
Però è un atteggiamento ipocrita, perché le cose vanno chiamate con il loro nome. Perché quello che accade continuamente non è inevitabile ed è tutt’altro che imprevedibile. Quello che accade è stato tollerato, banalizzato quando non addirittura propagandato.
Noi viviamo nel cinico paradosso di una vulgata che spaccia la droga – lo diceva anche il Sottosegretario Mantovano, l’hanno detto in molti – come una forma di libertà. Davvero non riesco a capire come si faccia a considerare libertà qualcosa che ti rende schiavo.
Torno alla citazione più bella che ho letto della parola libertà, l’ho già citata in passato. Dice un filosofo francese che si chiama Gustave Thibon che l’uomo non è libero nella misura in cui non dipende da niente, da nessuno, è libero nella misura in cui dipende da ciò che ama ed è schiavo nella misura in cui dipende da ciò che non può amare. Ora, ditemi: chi è dipendente dalla droga la assume per amore o la assume per costrizione? E come si può amare una costrizione? E come la si può considerare una forma di libertà?
Non ho mai amato l’ipocrisia, non mi considero una persona ipocrita. So che l’ipocrisia a volte è comoda, molti spesso lo sanno e agiscono di conseguenza. E allora voglio ribadire alcuni concetti che considero abbastanza semplici, ben sapendo che in questo tempo quando tu dici delle cose lapalissiane, quasi banali, molto spesso diventi oggetto di polemica, non mi difetta l’esperienza. E su questo io sono una persona abituata a difendere ciò in cui crede.
Punto primo: la droga fa male sempre e comunque. Ogni singolo grammo di principio attivo che consumi si mangia un pezzo di te. Non importa quanto grande o piccolo sia, si mangia un pezzo di te. Ti promette qualcosa che non può darti e ti chiede in cambio qualcosa che non potrà mai restituirti. E questo sul piano fisico e non solo: perché quando tu ti convinci che hai bisogno di quella sostanza per essere all’altezza, per superare una prova, per essere accettato, stai sostanzialmente dicendo a te stesso che sei sbagliato. Stai rinunciando a metterti alla prova, ti stai nascondendo. In una parola stai rinunciando a vivere davvero.
La droga ti illude che può rendere migliore la tua vita ma in realtà quello che fa è impedirti di vivere quella vita fino in fondo. Ti illude che può renderti più forte ma in realtà ti indebolisce passo dopo passo sempre di più.
Di conseguenza, seconda cosa banale da dire: le droghe fanno male tutte. Non ci sono distinzioni sensate da questo punto di vista. Chi vi racconta che in fondo ci sono delle droghe che non hanno delle conseguenze vi sta dicendo una menzogna e lo sa. Dire che le droghe sono tutte uguali e che addirittura ci sarebbero droghe che possono essere usate senza problemi è un inganno che sulla nostra società ha prodotto delle conseguenze pesantissime.
Dicevano che rendendo meno trasgressivo agli occhi dei giovani l’uso di alcune sostanze – di fatto chiudendo un occhio, quasi accettandole – ne sarebbe diminuita la diffusione. Le cose non sono andate così, non sono io a dirlo, sono i freddi i numeri della realtà. Ringrazio gli esperti per i numeri e le esperienze che hanno portato.
L’età media nell’uso della droga si abbassa sempre di più. L’Italia ha scalato le classifiche europee nell’uso di cannabis tra gli studenti, la polidipendenza è sempre più diffusa tra i giovanissimi e ciascuna di quelle sostanze oggi è sempre più aggressiva. Questa è un’altra cosa della quale non si parla: in uno spinello di oggi c’è una percentuale di THC, cioè di principio attivo, che è enormemente più grande della quantità di principio attivo che c’era nello stesso spinello di 20, 30, 40 anni fa. E allora, si può davvero definire leggero qualcosa che ha al suo interno il 25%, il 37%, fino al 78% di principio attivo?
Terzo: questo governo non intende voltarsi dall’altra parte, non intende ignorare questa emergenza ma la vuole affrontare con coraggio, con determinazione. E certo, anche per noi, come per altri, sarebbe molto più comodo sul piano del consenso fare finta di niente: ammiccare alle dipendenze per sembrare anticonformisti; accaparrarsi così le simpatie di tanti. Ma, guardate, io penso che non ci sia niente di più anticonformista che dire le cose come stanno, assumendosi la responsabilità di quello che si dice.
Una politica seria che ai giovani non riesce a dare risposte adeguate sull’istruzione, a dare risposte adeguate sul lavoro, a garantire il merito, a offrire opportunità, che non riesce a stare loro accanto e che in cambio dice “Vabbè però fumati una canna” non sarà mai la mia politica. Penso che l’approccio debba essere diverso e voglio dire che è finita – per quello che mi riguarda e fin quando ci sarà questo governo – la stagione dell’indifferenza, della sottovalutazione, della normalizzazione, del lassismo, del disinteresse. Ci siamo assunti questa responsabilità. Il messaggio che vogliamo lanciare oggi è che lo Stato intende fare la sua parte per combattere un fenomeno che è fuori controllo.
Io non ricorderò ancora dati, sono stati ampiamente ricordati, li conoscete meglio di me.
Il messaggio che lanciamo oggi è che lo Stato intende fare la sua parte, credo sia oggettivamente intollerabile per qualsiasi Nazione civile dover vedere bambini che vengono ricoverati in ospedale per avere assunto accidentalmente droga che era stata lasciata incustodita dai loro genitori, o vedere neonati che vengono al mondo in crisi da astinenza, che si devono mantenere a metadone appena nati. Io penso che chi si gira dall’altra parte o chi dice che va bene così, obiettivamente, abbia un problema, dovrebbe avere un problema di coscienza, per quello che noi stiamo vedendo nella nostra quotidianità.
Allora, per tutte queste ragioni, fin dal nostro insediamento, abbiamo deciso con nettezza di invertire la rotta. Sì, abbiamo l’idea chiara su quale debba essere l’approccio rispetto a questa tematica. Il Sottosegretario Mantovano – al quale ho affidato questa delega del Dipartimento, sapevo quanto la sua esperienza, la sua conoscenza del settore, avrebbero fatto la differenza, rappresentato un valore aggiunto – vi ha raccontato molto del lavoro che abbiamo fatto finora e che intendiamo fare. Dall’ampliamento delle competenze del Dipartimento, alla necessità di istituire un fondo autonomo che sia dedicato a tutte le dipendenze patologiche.
Noi siamo solo all’inizio del nostro lavoro e sia chiaro che è un lavoro che vogliamo fare con chi quel lavoro lo fa ogni giorno, con chi ha molto da insegnare alla politica, perché vive sul campo con la propria esperienza un fenomeno che è in costante evoluzione e che deve essere ogni giorno studiato e sul quale ogni giorno c’è bisogno di aggiornamento. Noi vogliamo in buona sostanza, questo pure Alfredo lo diceva bene, rimettere al centro la persona umana e rimettere lo Stato, le istituzioni, i servizi, ad ascoltare i bisogni delle persone con un approccio che inevitabilmente deve essere multidimensionale, multidisciplinare.
E anche questo, guardate, è un cambio di paradigma, perché noi in questi anni abbiamo visto farsi sempre più strada nella nostra società quella che Papa Francesco ha tante volte denunciato come “cultura dello scarto”. Una cultura infame che ti considera utile solamente a parametri dati e che tende a lasciarti ai margini se, di fatto, non corrispondi ai canoni del perfetto produttore o del perfetto consumatore. Così gli anziani vengono trattati come scarti proprio quando avrebbero più esperienza da dare. I disabili spesso vengono trattati spesso come scarti come se non avessero moltissimo da insegnarci. I tossicodipendenti sono stati trattati come scarti quando era dimostrato che un tossicodipendente è un malato perfettamente curabile e che dopo un percorso di recupero può essere restituito alla società come persona che ha qualcosa da insegnare agli altri. Perché se tu cadi e qualcuno ti dà una mano e ti rimetti in piedi, tu potrai a tua volta rimettere in piedi tanti altri dopo di te. Era stato dimostrato, è stato dimostrato, voi lo dimostrate.
Questo governo intende combattere la “cultura dello scarto”, perché, a dispetto di un mondo che vuole che tu sia qualcuno se sei uguale agli altri, noi dobbiamo ricordarci che ognuno di noi nasce con un codice genetico unico e irripetibile; cioè ogni essere umano che viene al mondo è un pezzo unico e quindi la nostra grandezza non è nell’essere uguali, la nostra grandezza è nel tirare fuori l’unicità che abbiamo. Questo ci rende, nella nostra unicità, tutti estremamente importanti. Non ci sono parametri per questo. C’è solo il fatto che in tutta la storia dell’umanità non ce ne sarà un altro come me. Mai. Questo vuol dire la persona al centro, capire il valore della persona umana, diceva bene Alfredo Mantovano.
Il tema non è la sostanza, il tema è la persona perché la causa è la persona, la sostanza è l’effetto.
Noi vogliamo rimettere al centro la persona umana e credo che lo Stato, la scuola, la famiglia, debbano in questo senso riappropriarsi del loro ruolo, di un’autorevolezza che non è data dall’autorità ma dalla solidarietà. Accompagnare i più giovani, spingerli a credere in loro stessi, a riconoscere il loro valore e dare risposte alle loro aspettative, insegnare loro che la trasgressione vera è riuscire ad affrontare la vita nelle difficoltà che hai. È lì che dimostri chi sei, anche quando cadi, certo, perché tutti cadono. Il punto non è se cadi, il punto se riesci a rimetterti in piedi. Se hai la forza, la determinazione, anche chiedendo aiuto, perché nella vita si deve anche chiedere aiuto. Evviva chi è che da solo pensa di poter risolvere tutti i problemi.
Noi dobbiamo avere il coraggio di tornare a raccontare ai nostri ragazzi che, se provano un vuoto, quel vuoto non verrà colmato dalla dipendenza. La dipendenza aumenterà quel vuoto e ti allontanerà dalle persone che ami e ti renderà sempre più solo, perché queste sono le storie che io ho sentito raccontare da chi quelle storie le ha vissute. Perché poi i fenomeni non si capiscono con i numeri, si capiscono con le storie delle singole persone. Dall’altra parte ci saranno delle istituzioni che se hanno un problema faranno del loro meglio per non girarsi dall’altra parte, che sono a loro disposizione. Guardate, non vuole essere un approccio paternalistico. Non c’entra niente l’approccio paternalistico, c’entra la responsabilità, c’entra il tema della responsabilità delle istituzioni. C’entra il tema della solidarietà, la responsabilità di fare cose difficili se quelle cose sono giuste. La responsabilità di non girarsi all’altra parte, di andare controcorrente. Se noi non cambiamo questo, se non cambiamo l’approccio, tutte le leggi che possiamo fare, le norme che possiamo fare, i fondi che possiamo mobilitare non basteranno.
Serve un’altra narrazione sul piano educativo e sul piano culturale, perché anche qui, Gianni, ne vogliamo parlare? Tutta la narrazione va unicamente in una direzione. Film, serie televisive, il messaggio sottointeso è sempre lo stesso: la droga e anti-conformista, la droga non ti fa male, la droga fa bene. E arriviamo al paradosso di avere serie che ti raccontano come un eroe lo spacciatore, sulle stesse piattaforme che facevano i documentari contro Vincenzo Muccioli, contro un uomo che aveva salvato migliaia di ragazzi, quando lo Stato era girato dall’altra parte. Sono cose che bisogna avere il coraggio di dire e io quel coraggio lo voglio avere e quindi lo voglio dire ai tanti altri che sono in questa sala, a quelli che sono fuori da qui, ai “Vincenzo Muccioli”, ai ragazzi, soprattutto ai ragazzi.
Ne ho conosciuti tanti, ho imparato una cosa, io combatto contro la droga da quando ero ragazza, è sempre stata una mia, una delle mie tante certezze. Mi interrogavo quando ero rappresentante studentesco su come si facesse a convincere i giovani che sono sempre quelli che ti guardano un po’ più dall’alto in basso quando tenti di affrontare questo tema e che porta molti poi ad adeguarsi perché altrimenti… Ricordo che invitai a parlare in diverse scuole Paolo De Laura, oggi Presidente ANGLAD, ex San Patrignano, un ragazzo che girava con degli stivaloni da cowboy. Era stato svariate volte in un percorso di recupero e alla fine quella storia, quando veniva raccontata, ammutoliva tutti.
Una cosa la voglio dire a questi ragazzi. Quando voi finirete il percorso, e per quelli di voi che hanno finito il percorso di recupero: ricordatevi che siete migliori di tanti altri, che c’è tanto che potete insegnare e che potete dare. E quello che c’è stato indietro, per come lo avete affrontato e per come siete riusciti a superarlo, è quello che vi definisce.
Non vi definisce che siete finiti nel tunnel della droga, vi definisce che siete riusciti a uscirne. Per cui, grazie per quello che dimostrate e grazie se saprete trasferirlo anche a tanti altri. Voglio dire a loro e a tutte le associazioni, agli operatori che operano in questo campo, so che è stato un percorso nel quale spesso vi siete sentiti soli. Non siete più soli.
Grazie e buon lavoro.