Pakistan. Condannato a morte per aver commesso blasfemia sui social

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AgenPress. Un tribunale antiterrorismo di Peshawar ha condannato a morte Sana Ullah, cittadino pakistano residente nella provincia settentrionale di Khyber Pakhtunkhwa, con l’accusa di aver commesso blasfemia sui social media.

La Corte gli ha inflitto contestualmente una pena detentiva di 21 anni e una multa di 1,6 milioni di rupie. Mentre la multa e la pena detentiva saranno subito esecutive, la condanna a morte sarà soggetta a conferma da parte dell’Alta Corte di Peshawar.

Secondo la sentenza, emessa il 1° dicembre, tutti i testimoni dell’accusa sono pienamente concordi, mentre la scheda Sim del telefono cellulare a lui intestata conteneva diversi contenuti blasfemi, condivisi dall’uomo in un gruppo sulla chat “What’sApp”. La denuncia a carico dell’uomo è stata presentata il 4 agosto 2021 e l’arresto dell’imputato è avvenuto il giorno successivo, ai sensi degli articoli del Codice Penale 295-a (insulto alle credenze religiose), 295-C (osservazioni dispregiative nei confronti del Profeta Maometto) e 298-a (vilipendio nei confronti di personaggi sacri), e ai sensi dell’articolo 20 della Legge sulla prevenzione dei crimini elettronici (offesa alla dignità della persona), nonchè in violazione dell’articolo 7 (1) della legge antiterrorismo.

Secondo informazioni raccolte tra enti e comunità della società civile, in Pakistan si assiste a una stretta per punire il reato di blasfemia sui social media, applicandovi pedissequamente la dura legislazione penale esistente. Organizzazioni islamiche stanno utilizzando tutti i forum legali per controllare quella che reputano come “una crescente minaccia di diffusione di contenuti blasfemi sui social media”. A essere coinvolto è il Cyber ​​Crime Wing della Federal Investigation Agency (FIA), chiamata in causa per monitorare e denunciare quanti mettono in rete sul web contenuti blasfemi. Il Segretario generale della “Commissione legale sulla blasfemia” Sheraz Ahmed Farooqui, ha confermato che la FIA sta adoperandosi per rintracciare e fermare la pubblicazione sui social media di contenuti blasfemi e che finora 62 persone sono state tratte agli arresti per tali reati.

Un consorzio di organizzazioni sociali e giuridiche di carattere religioso (come Namoos-e-Risalat Lawyers Forum Pakistan, Legal Thinkers Forum, Tehreek Tehfuz Namoos-e-Risalat Pakistan, World Khatm-e-Nabuwat Council, Anjuman Ashqaan-e-Muhammad, Tehfuz Khatm-e-Nabuwat Forum, Tehfuz Khatm-e-Nabuwat Wukla Forum, Legal and Cyber ​​Experts Forum, Razakaran-e-Khatm-e-Nabuwat e Islamabad Bar Association) sta portando avanti tali casi, chiedendo la massima severità per chi compie blasfemia sui social media.

Condivide questo approccio il gruppo religioso islamico Tehreek-e-Labbaik Pakistan (TLP), che si oppone a qualsiasi emendamento alle leggi sulla blasfemia e che, nel corso degli ultimi 15 anni, ha acquisito forte popolarità.

In tale cornice anche il Ministero degli affari religiosi e dell’armonia interreligiosa ha riattivato un apposito gruppo di valutazione web per controllare gli episodi di blasfemia che si rilevano sui social media e poi segnalarli alla polizia.

Secondo i critici della cosiddetta “Legge di blasfemia” (tre articoli del Codice penale che puniscono in particolare il vilipendio contro l’islam) molte persone, in special modo appartenenti alle minoranze religiose, vengono denunciate ingiustamente e la legge viene utilizzata impropriamente come strumento per vendicarsi in controversie private. Molti degli accusati, poi – si nota – possono compiere un presunto “atto di blasfemia” involontariamente (ad esempio è il caso capitato ad alcuni che bruciano un foglio di giornale su cui vi sono brani del Corano, ndr) oppure hanno problemi di salute mentale, e sono presi di mira in modo sproporzionato, non avendo la piena consapevolezza dei propri atti.

Tra i casi viziati dalla mancanza di prove credibili e da altre irregolarità – come rileva l’organizzazione “Christian Solidarity International” – vi sono quelli, attualmente pendenti in tribunale, relativi ad almeno 10 cittadini pakistani accusati di blasfemia, sia cristiani (Salamat Mansha Masih, Stephen Masih, Raja Aziz Waris Masih, Noman Masih), sia musulmani (Sarfraz Ahmad, M.Tayyab, Haider Alì, Mohammad Shahid, Shagufta Kiran, Sunny Waqas). E’ recente il caso di Imran Rehman, cristiano 32enne e padre di due bambine, arrestato a settembre 2022 e ora in carcere a Lahore con l’accusa di aver postato materiale blasfemo su un gruppo chat “What’sApp”.

Secondo il “Center for Research and Security Studies” di Islamabad, 1.415 persone sono state accusate di blasfemia in Pakistan tra il 1947 e il 2021. In quel numero, 81 di loro sono state uccise in via extragiudiziale.

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