AgenPress – Amnesty International è entrata in possesso di documenti emessi dai vertici delle forze armate in cui si istruiscono tutti i comandi provinciali ad “affrontare severamente” le persone che manifestano dall’indomani della morte di Mahsa Amini mentre era detenuta dalla polizia morale.
In un primo documento, emesso il 21 settembre, il Quartier generale delle forze armate parla di “affrontare severamente gli antirivoluzionari e coloro che creano disordini”. Già quella sera, l’uso della forza letale durante le proteste aveva causato decine di morti.
Con un secondo documento, datato 23 settembre, il comandante delle forze armate della provincia di Mazandaran ordina di “affrontare senza pietà, anche arrivando alla morte, qualsiasi disordine provocato da rivoltosi e antirivoluzionari”.
Amnesty International ha finora raccolto i nomi di 52 persone (tra cui cinque donne e almeno cinque minorenni) uccise dalle forze di sicurezza iraniane dal 19 al 25 settembre, due terzi delle quali solo il 21 settembre, il giorno del primo ordine emesso dai vertici delle forze armate.
In una dettagliata analisi resa pubblica il 30 settembre, l’organizzazione per i diritti umani ha documentato la tattica delle autorità iraniane per stroncare le proteste: da un lato l’impiego di Guardie rivoluzionarie, delle forze paramilitari basiji, del Comando per il mantenimento dell’ordine pubblico, della polizia antisommossa e di agenti in borghese; dall’altro, il ricorso alla forza letale e alle armi da fuoco con l’obiettivo di uccidere manifestanti e nella consapevolezza che il loro uso avrebbe potuto causarne la morte.
Amnesty International ha anche raccolto prove, oltre che di torture ai danni di manifestanti e semplici passanti, di aggressioni sessuali ai danni delle donne in piazza. Alcune di loro sono state picchiate sul seno, altre sono state scaraventate a terra dopo che si erano tolte il velo.
Nel tentativo di assolvere se stesse, le autorità iraniane stanno promuovendo una falsa narrazione sulle vittime, descrivendole come “pericolose” e “violente” e addirittura arrivando a sostenere che siano state uccise da “rivoltosi”. Le famiglie delle vittime vengono minacciate per indurle al silenzio o vengono loro promessi risarcimenti se sosterranno pubblicamente, tramite videomessaggi, che i loro cari sono stati uccisi da “rivoltosi” al soldo dei “nemici” della Repubblica islamica dell’Iran.
Amnesty International ha visto immagini contenenti atti di violenza da parte di una minoranza di manifestanti, ma ciò non giustifica il ricorso alla forza letale.
Secondo il diritto internazionale, anche se alcuni manifestanti fanno ricorso alla violenza, le forze di sicurezza devono assicurare che coloro che protestano pacificamente possano continuare a farlo senza interferenze né intimidazioni. Le forze di sicurezza non devono usare armi da fuoco se non per difendere se stesse o altri da un’imminente minaccia di morte o ferimento grave e solo quando metodi meno estremi si siano rivelati insufficienti.