AgenPress – Ben 82 seggi sono andati ai candidati “patrioti” pro-regime cinese, altri sette a politici di ignota estrazione politica, e un solo seggio a un esponente dell’opposizione, il moderato Tik Chi-yuen del Third Side Party, secondo un’analisi del sito web di news Hk01.
La Cina ha annientato l’opposizione a Hong Kong dopo le proteste di massa antigovernative e pro-democrazia, spesso sfociate nella violenza, del 2019. La stessa tornata elettorale si è svolta mentre molti attivisti si trovano in carcere o sotto processo.
Oppure all’estero, come Nathan Law, auto-esiliatosi a Londra, che nei giorni scorsi ha pesantemente criticato le elezioni ed è accusato di avere incitato al boicottaggio delle urne, considerato illegale in base alla legge elettorale vigente, con pene fino a tre anni di carcere e una multa fino a 200mila dollari di Hong Kong (oltre 22.700 euro).
Le elezioni, tenutesi nel trentasettesimo anniversario della dichiarazione congiunta sino-britannica che ha spianato la strada al ritorno di Hong Kong alla Cina, sono le prime dall’imposizione di Pechino di una legge sulla sicurezza nazionale nella città di giugno 2020 e dalla riforma del sistema elettorale di Hong Kong, approvata a maggio scorso, che stronca il dissenso a favore della comprovata lealtà dei candidati in modo da affidare la gestione della città soltanto ai ‘patrioti’.
La leader della Regione amministrativa speciale, Carrie Lam, ha minimizzato la bassa affluenza, parlando di una “bella campagna elettorale” da parte dei candidati. Hong Kong, ha detto, “è tornata sulla strada giusta”, ovvero quella del modello “un Paese, due sistemi”, con cui Pechino regola il rapporto con Hong Kong dal ritorno dell’ex colonia britannica alla Cina, e che è ormai considerato ampiamente deteriorato a livello internazionale.
Uno dei primi compiti del nuovo parlamento dominato dai pro-Pechino, ha dichiarato Lam, sarà quello di ridare vita con “nuove proposte” entro giugno prossimo a una legge sulla sicurezza che già venti anni fa aveva provocato turbolenze politiche, prima di essere ritirata.
Da Pechino, invece, il governo cinese ha emesso un Libro Bianco sulla Democrazia a Hong Kong, nel quale viene difeso il modello “un Paese, due sistemi” come una “garanzia fondamentale per lo sviluppo della democrazia a Hong Kong”.
Intitolato ‘Hong Kong: Progresso democratico sotto la struttura di un Paese, due sistemi’, il documento ha rimarcato che il dominio coloniale britannico “non ha portato una vera democrazia a Hong Kong, ma ha posto insidie nascoste per il suo sviluppo” dopo il ritorno dei territori sotto la sovranità di Pechino.
Secondo il libro bianco, l’ex colonia “sta entrando in una nuova fase di ordine restaurato, società fiorente e ulteriore prosperità”: con l’entrata in vigore della legge sulla salvaguardia della sicurezza nazionale e con i miglioramenti al sistema elettorale “il governo dei patrioti sarà ulteriormente rafforzato, lo stato di diritto e l’ambiente imprenditoriale continueranno a migliorare e Hong Kong diventerà una società più armoniosa”.
I ministri degli Esteri di Australia, Canada, Nuova Zelanda e Gb e il segretario di Stato Usa, prendendo atto dell’esito delle elezioni del Consiglio legislativo di Hong Kong, “esprimiamo la nostra grave preoccupazione per l’erosione degli elementi democratici del sistema elettorale”, si legge in una nota congiunta.
I ministri parlano di “azioni che minano i diritti, le libertà e l’alto grado di autonomia di Hong Kong”. Un esempio ulteriore della prepotenza del Dragone, che sia su HK che su Taiwan sta mostrando aspirazioni chiaramente aggressive. “Dal passaggio di consegne, i candidati con diverse opinioni politiche hanno contestato le elezioni a Hong Kong”, continua il documento.
“Le elezioni di ieri hanno invertito questa tendenza. La revisione del sistema elettorale di Hong Kong introdotta all’inizio di quest’anno ha ridotto il numero di seggi eletti direttamente e ha stabilito un nuovo processo di controllo per limitare severamente la scelta dei candidati sulla scheda elettorale. Questi cambiamenti hanno eliminato qualsiasi opposizione politica significativa. Nel frattempo, molti dei politici dell’opposizione – in particolare la maggioranza del “NSL 47″ – rimangono in prigione in attesa di processo, con altri in esilio all’estero”.
Si parla inoltre di “crescenti restrizioni alla libertà di parola e di riunione”. Le ONG, i sindacati e le organizzazioni per i diritti umani “che non supportano l’agenda del governo sono state costrette a sciogliersi o ad andarsene”, mentre la libertà dei media viene “ridotta a ritmo sostenuto”.