AgenPress – Il Senato ha approvato la riforma del processo penale con 177 sì, 24 no nel testo già licenziato dalla Camera, che quindi è legge. L’approvazione della riforma del processo penale, come quella del processo civile, sono tra le condizioni poste dall’Ue per erogare i fondi del Recovery Plan.
Dalla prescrizione al ‘regime speciale’ per alcuni reati, dal principio della improcedibilità fino ai criteri di priorità per l’azione penale, affidati al Parlamento: queste le principali novità previste dalla riforma che va a modificare in gran parte il ddl Bonafede.
L’impostazione complessiva della riforma, così come voluta dalla ministra Cartabia, mira a velocizzare i tempi dei processi, andando ad agire anche sui riti alternativi. Viene poi introdotto il principio della ‘giustizia riparativa’.
Prevista una entrata in vigore graduale delle nuove norme, per permettere agli uffici giudiziari di mettere a punto adeguate misure organizzative, anche grazie all’immissione di nuovo personale (oltre 20mila unità). E’ quanto prevede l’ultima intesa raggiunta in Cdm sul meccanismo di prescrizione e improcedibilità inserito nella riforma. L’accordo prevede norme transitorie fino al 2024 e un regime speciale per i reati di mafia, terrorismo, droga e violenza sessuale.
La norma dispone che “il corso della prescrizione del reato cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado. Nondimeno, nel caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento”.
La riforma riguarda solo i reati commessi dopo l’1 gennaio 2020; entra in vigore dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge. La riforma va a regime nel 2025. In appello, i processi possono durare fino a 2 anni di base, più una proroga di un anno al massimo. In Cassazione, 1 anno di base, più una proroga di sei mesi.
In un primo periodo i termini previsti per la improcedibilità saranno più lunghi. Per i primi 3 anni, entro il 31 dicembre 2024, i termini saranno più lunghi per tutti i processi (3 anni in appello, un anno e mezzo in Cassazione), con possibilità di proroga fino a 4 anni in appello (3+1 proroga) e fino a 2 anni in Cassazione (un anno e 6 mesi + 6 mesi di proroga) per tutti i processi in via ordinaria.
Ogni proroga deve essere motivata dal giudice con un’ordinanza, sulla base della complessità del processo, per questioni di fatto e di diritto e per numero delle parti. Contro l’ordinanza di proroga, sarà possibile presentare ricorso in Cassazione. Di norma, è prevista la possibilità di prorogare solo una volta il termine di durata massima del processo.
Solo per alcuni gravi reati, è previsto un regime diverso: associazione di stampo mafioso, terrorismo, violenza sessuale e associazione criminale finalizzata al traffico di stupefacenti. Per questi reati non c’è un limite al numero di proroghe, che vanno però sempre motivate dal giudice sulla base della complessità concreta del processo.
Sono previste fino a due proroghe ulteriori, oltre a quella prevista per tutti i reati. Quindi nel complesso fino a 3 proroghe di un anno in appello. Ciò significa massimo 6 anni in appello e massimo 3 anni in Cassazione nel periodo transitorio (fino al 2024), che diventano massimo 5 anni in appello e massimo 2 anni e mezzo in Cassazione a regime (cioè a partire dal 2025).
I reati puniti con l’ergastolo restano esclusi dalla disciplina dell’improcedibilità.
Gli uffici del pubblico ministero, per garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, nell’ambito di criteri generali indicati con legge del Parlamento, dovranno individuare priorità trasparenti e predeterminate, da indicare nei progetti organizzativi delle Procure al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre.
Diritto oblio per gli assolti. È una norma inserita durante l’esame in commissione alla Camera, con un emendamento riformulato di Azione. Dovranno essere cancellate dal web tutte le notizie dei procedimenti penali instaurati a carico di persone che sono state indagate o imputate e poi risultate innocenti, attraverso la ‘deindicizzazione’ delle notizie di reato in seguito ad assoluzione o proscioglimento.