Associazione Vittime del Dovere: “No Amnistia, No Indulto”

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AgenPress. L’Associazione Vittime del Dovere, che cerca costantemente di dare voce ai numerosi familiari di quelle donne e di quegli uomini che, indossando una divisa hanno dato la propria vita per garantire sicurezza alla collettività, non può tacere il suo dissenso di fronte alle incessanti proposte, imbarazzanti e discutibili, che vorrebbero indurre la Politica italiana a dispensare a piene mani amnistia e indulto, quali soluzioni al diffondersi del Covid 19 all’interno delle carceri italiane.

In uno scenario in cui ogni giorno nelle terapie intensive e nei reparti ospedalieri centinaia di malati combattono una dura battaglia contro il Covid speranzosi di riabbracciare i propri cari, in un contesto in cui tutti i cittadini restano responsabilmente a casa nella convinzione di ritornare presto alla normalità, in cui i giovani sacrificano socialità e la propria spensieratezza, in cui gli anziani combattono contro la solitudine del forzato isolamento, in cui il personale sanitario svolge con dedizione il proprio lavoro seppur in condizioni fisiche estenuanti, in cui le forze dell’Ordine e Forze Armate sono in prima linea per assicurare ordine e giustizia, c’è qualcuno che vorrebbe approfittare delle difficoltà del momento e della distrazione generale per ottenere la cancellazione dei reati commessi e l’annullamento della pena. L’Associazione Vittime del Dovere dice no ad amnistia, no ad indulto.

Le famiglie delle Vittime del Dovere lanciano un appello di aperto disaccordo rispetto alle assurde richieste urlate insistentemente dalle “solite lobby” che in nome di un virus vorrebbero vanificare il lavoro svolto dalle forze dell’ordine, in sfregio ai sacrifici portati avanti quotidianamente da tutti i cittadini onesti. Amnistia e indulto sono richieste immorali che annullerebbero lo stesso concetto di certezza della pena, presupposto indispensabile dello stato di diritto di qualsiasi paese civile.

Occorre ricordare che solo pochi mesi fa, nel corso delle note rivolte carcerarie, consumatesi nei primi giorni dell’emergenza sanitaria, detenuti violenti ed irresponsabili hanno causato ben 35 milioni di euro di danni all’interno delle strutture di detenzione; 14 reclusi sono morti per avere assunto, fuori controllo, metadone indebitamente sottratto alle infermerie devastate; decine di valorosi agenti della polizia penitenziaria sono stati aggrediti e hanno riportato profonde ferite sul corpo e nell’anima.

Centinaia di detenuti facinorosi hanno agito con violenza inaudita, distruggendo beni collettivi senza alcun rispetto. Soggetti sobillati, probabilmente dalla criminalità organizzata, hanno fatto pressioni e violenze anche su quei detenuti che invece credono nel concetto di rieducazione all’interno del carcere e hanno un atteggiamento propositivo e volontà di riabilitazione nel contesto sociale.

Milioni di euro sono stati polverizzati in soli 3 giorni, il 7, 8, 9 marzo, denaro che oggi, a ben vedere, si sarebbe potuto destinare nel potenziare le strutture sanitarie, nel fornire dispositivi di protezione per medici e infermieri, nel dare il giusto riconoscimento, anche in termini economici, a quanti ogni giorno si battono nel sostenere e nell’assistere le persone in difficoltà, cercando di garantire salute, sicurezza e tutele.

Devastazioni e sommosse abilmente orchestrate, con complicità esterne, per mettere in atto ricatti morali al Governo che, piegato dalle assurde pretese, ha consentito nel corso di quest’anno un’emorragia carceraria senza precedenti, nel disinteresse generale. Una vera e propria catastrofe penitenziaria.

L’Associazione riconosce e difende il valore del diritto alla salute di ogni essere umano, dentro e fuori le carceri, ma ritiene parimenti importante rispettare l’impegno delle Forze di Polizia e il sacrificio dei tantissimi rappresentanti  delle Istituzioni che hanno offerto la propria esistenza alla Nazione.

Attualmente, la concessione dell’Amnistia, ci chiediamo quale beneficio di contenimento del contagio possa portare alla collettività, se non la mera estinzione del reato e la conseguente fedina pulita per quanti non intendono scontare la propria condanna e pagare il proprio debito con la società.

Un ulteriore esodo di migliaia di detenuti causerebbe oggi pesanti problemi di sicurezza alle forze dell’ordine già abbondantemente impegnate nella contingenza del momento e congestionerebbe con carico aggiuntivo i pronto soccorso e gli ospedali già in enorme sofferenza.

E’ necessario invece dare sicurezza e assistenza ai detenuti dentro le case circondariali. Per fare ciò, nell’immediatezza, sarebbe indispensabile rivedere gli attuali sistemi di sorveglianza dinamica che consentono di tenere tutte le celle aperte, favorendo così il contagio del coronavirus e creando focolai incontrollabili. Anche con questa semplice accortezza sarà possibile non gravare ulteriormente sugli ospedali in grande difficoltà, considerando che i detenuti sono comunque molto ben assistiti dal punto di vita sanitario in carcere.

I numeri dei contagi tra i detenuti dimostrano come ci sia meno rischio in carcere rispetto ad altri contesti di comunità e comunque se si prendono in considerazione i dati nazionali della società civile; segno evidente che il lavoro svolto dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sta funzionando.

Per quanto riguarda il sovraffollamento carcerario, occorre invece leggere gli ultimi dati pubblicati ufficialmente dal Ministero della Giustizia delle presenze in carcere alla data del 31 ottobre 2020. E’ sufficiente, infatti, prendere carta e penna e calcolare i posti disponibili secondo le raccomandazioni del Comitato di Prevenzione della Tortura dell’Europa che prevede una media di 5 mq a detenuto, rispetto ai 7 mq calcolati dall’Italia. Con una semplice operazione si arriva a capire che ci sarebbe ancora una capienza di posti disponibili, pari al 30% in più rispetto alla situazione attuale. Dagli stessi dati si evince che il  32 % dei detenuti sono cittadini stranieri. Essi potrebbero essere rimpatriati attraverso accordi bilaterali, non ancora sottoscritti, ma che dovrebbero essere caldeggiati dal Ministero della Giustizia.

Attualmente non servono misure estemporanee, serve invece soprattutto prevedere nel lungo periodo una riforma sostanziale e strutturale del sistema penitenziario attraverso opere di edilizia carceraria, e azioni politiche volte ad estradare, ove possibile, i detenuti stranieri, e ad intervenire sulle tempistiche processuali.

Occorre uno Stato in grado di gestire l’emergenza all’interno delle carceri, senza  cercare delle soluzioni alternative fuori dal carcere; in quanto, in una situazione già emergenziale, lo Stato non può permettersi di mettere a rischio la sicurezza della collettività.

Attualmente tutti i cittadini italiani senza aver commesso alcun reato, rinunciano responsabilmente alla loro libertà per contenere gli effetti del contagio.

Anche scontare la propria pena è una forma di contributo alla società. Oltretutto la consapevolezza di un tale impegno dimostrerebbe tangibilmente l’efficacia della rieducazione e la volontà di riabilitazione anche morale.

E’ giusto che ciascuno di noi faccia la propria parte, ciò rappresenta un gesto di civiltà, un atto di amore verso quanti spendono la propria vita per il benessere altrui.

 

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