AgenPress. Dieci anni dal sacrificio di mio figlio, dieci anni di discesa agli inferi nel silenzio di buona parte della stampa e di tutte le istituzioni che dovrebbero implorare il perdono di quegli occhi di bambino, il cui j’accuse non lascia scampo ai filistei della cultura e ai mercanti del Tempio della politica italiota. Non lascia scampo agli ignavi, ai magnaccia di Stato, ai complici di un sistema mafioso, a chi continua a proteggere una delle sette più mefistofeliche del nostro paese. Dopo aver scritto (inascoltato) a tutti i Presidenti del consiglio, ai loro ministri, continuo e continuerò a gridare, incazzato più che mai, che quello di mio figlio è stato un omicidio di Stato in piena regola. Ho scritto ancora, dopo altre lettere, non so quante, al premier Conte. Questi, alcuni stralci:
Signor Presidente del Consiglio,
vede quegli occhi di bambino nella foto? Li vede? Vispi, gioiosi, espressivi. Quelli sono gli occhi di mio figlio Norman, morto a ventisette anni a causa di una malformazione congenita. No, sono certo che Lei abbia capito male. La ‘malformazione congenita’ che ha causato la morte di mio figlio non apparteneva a lui geneticamente, è dello Stato, si chiama “mafia universitaria”.
E parlo di ‘malformazione congenita’ perché lo Stato, questo cazzo di Stato nel quale mi ostino a credere, non ha mai voluto estirpare la gramigna delle baronie universitarie, da ciò discende la mia convinzione che si tratti di qualcosa di congenito. Di incurabile. Mi dovrà perdonare due cose preliminarmente: il mio linguaggio aspro e a tratti volgare (ma la volgarità non è nelle parole, risiede nei pensieri volgari e in tutte le forme omissive) e il mio riferirmi a Lei come persona informata dei fatti, con evidente allusione all’associazione mafiosa che infesta i nostri atenei.
Vede, Presidente, io da dieci anni non posso più guardare quegli occhi teneri; non posso guardarli socchiusi nel sonno come facevo prima; quegli occhi non hanno avuto il tempo di conoscere i propri nipoti, né tantomeno con essi giocare. E io non ho visto a mia volta niente di tutto ciò, avvelenandomi quotidianamente coi tormenti madidi di sangue di una giustizia negata ripetutamente.
L’atto d’accusa di Norman non lascia scampo, Presidente Conte, quindi o accetta la “sfida” o varrà anche per Lei quanto cantava De André nella Canzone del Maggio: Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti […] E Lei, Presidente, Lei che conosce bene il mondo accademico per farne parte, si permette di ignorare le lettere di un cittadino che ha perduto tutto al tavolo della roulette, senza aver mai giocato. Un tavolo da gioco il cui croupier è lo Stato, oggi Lei medesimo […] Accetti questa sfida, esca dal silenzio, rifiuti il verbo complice dei suoi predecessori e vesta finalmente gli abiti della ‘vergine’ e incorrotta Dike. Diversamente sarà poi compito della ‘cieca’ Themis”.
E nella mia nuova lettera scritta a Conte ho voluto aggiungere, per senso di giustizia, un’ulteriore storia da egli sicuramente ignorata: “Ma voglio raccontarle un’altra storia, una delle tante storie che hanno infangato il Tempio della cultura del Belpaese.
Ha mai sentito parlare di Luigi Vecchione? Claro que no. Nel novembre 2018 ‘Luigi Vecchione, 43 anni, stimato ingegnere meccanico che aveva lavorato a lungo come ricercatore all’Università La Sapienza di Roma’, decide di suicidarsi. Come Norman. ‘Proprio a questo rapporto con l’ateneo il padre attribuisce la decisione di suo figlio di farla finita.
Questo perché Luigi, due anni prima, aveva sollevato un caso inviando un dettagliato esposto all’Autorità nazionale anticorruzione in cui denunciava l’esistenza di una vera e propria Concorsopoli all’interno dell’ateneo romano e di alcuni corsi tenuti a Viterbo. Segnalazione che l’Anac aveva a sua volta inoltrato alle procure di Roma e del capoluogo della Tuscia.
Luigi aveva lavorato al suo progetto di ricerca fino al 31 agosto. Scaduto il contratto, l’incarico non gli era stato rinnovato anche se il progetto non era concluso. Avrebbe avuto bisogno di un altro anno per portarlo a termine. E poche ora prima di uccidersi ha voluto recarsi in questura, a Frosinone, insieme al suo avvocato’. Luigi muore di malauniversità, proprio come Norman”.