Agenpress. Per anni è stata costretta a subire violenze dal marito, che costringeva anche la figlia di 7 anni ad assistere a rapporti sessuali violenti con la madre. La vittima, grazie all’opera di persuasione e di convincimento di una poliziotta del commissariato di Primavalle, ha denunciato anni di violenza da parte del coniuge.
Alcune donne denunciano, altre tacciono per anni. Perché non si ribellano a mariti, compagni, o fidanzati aggressivi? Sono tante le motivazioni della mancata ribellione della donna. Timore dell’abbandono e mancanza di sostegno esterno, sensi di colpa, sono le motivazioni principali.
La sensazione che il comportamento violento sia in qualche modo provocato dagli inadempimenti della donna la porta a sentirsi responsabile delle azioni altrui. Dunque deve far fronte a tutte le richieste dell’uomo, per non scatenare la sua ira e riuscire a dimostrare di essere adeguata, giusta.
Questo scatena nella donna un senso d’inadeguatezza e le fa credere di essere responsabile e colpevole, di portare la relazione alla distruzione. La sicurezza in se stessi e’ fondamentale per affrontare le difficoltà, le paure. Ma non è solo questo il problema. Molto spesso le vittime di violenza possono trovare delle difficoltà nel ricevere aiuto.
La mancanza di un supporto sociale, parentale e istituzionale è uno degli elementi. Le vittime si trovano sole e impaurite. A volte vengono giudicate dagli amici e parenti colpevolizzandole di voler distruggere la famiglia. Serve un’educazione psicologica che modifichi i modelli operativi interni. Il mio appello è quello di denunciare qualsiasi tipo di violenza.
Così in una nota la criminologa Antonella Cortese Presidente AISPIS ( Accademia Italiana delle Scienze Polizia investigativa e Scientifica).