Ecco perché manifestano i giovani di Hong Kong

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Le proteste continuano ormai da anni, ma non si trova il giusto equilibrio. “Una Cina, due sistemi” vale ancora? Per approfondire la tematica Interris.it ha intervistato Francesco Grillo, economista e manager italiano, autore del libro Lezioni Cinesi


AgenPress. Hong Kong appartiene alla Cina, ma di fatto è una regione amministrativa speciale. Ha una sua moneta, un sistema politico e una sua identità culturale. Questo rapporto di ‘appartenenza indipendente’ è previsto dalla formula “Una Cina, due sistemi”, espressione con cui si indica la soluzione negoziata per il ritorno nel 1997 di Hong Kong sotto la giurisdizione cinese, dopo che per 150 anni dalla fine della Guerra dell’Oppio era stata una colonia britannica.

Hong Kong oggi

Oggi il sistema giuridico di Hong Kong rispecchia ancora il modello britannico, e insiste sulla trasparenza e sul giusto processo. I principi sono garantiti dalla costituzione, la Basic Law, che si basa sul common law e tutela diritti diversi da quelli dei cinesi continentali.
Tra questi ci sono il diritto di protestare, stampa libera e libertà di parola. In generale la legge stabilisce anche che la città abbia “un alto grado di autonomia” in tutti i campi eccetto la politica estera e la difesa.
La Basic Law stabilisce assicura “la salvaguardia dei diritti e le libertà dei cittadini” per 50 anni dopo la riconsegna alla Cina (fino al 2047). Ma molti residenti sostengono che Pechino stia già iniziando a violare in modo più o meno percettibile questi diritti.

Cosa chiedono i manifestanti in Cina

I manifestanti hanno avanzato cinque richieste principali:

  • ritirare definitivamente il disegno di legge che prevede l’estradizione verso la Cina e che rappresenterebbe un primo passo verso l’ingerenza cinese nel sistema giuridico di Hong Kong;
  • le dimissioni del capo dell’esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam;
  • un’inchiesta sulla brutalità espressa dalla polizia durante le proteste;
  • il rilascio di  coloro che sono stati arrestati;
  • maggiori libertà democratiche.

L’annuncio della governatrice di Hong Kong, Carrie Lam, che la legge sulle estradizioni “è morta” e la protesta del primo luglio, in occasione dell’anniversario della consegna del territorio alla Cina dopo 156 anni di colonia sotto l’impero Britannico, sono solo gli ultimi capitoli di una protesta scoppiata il 9 giugno.

Il disegno di legge sull’estradizione forzata

La prima scintilla è stata un progetto di legge sull’estradizione forzata. Proposto dalla leader Carrie Lam, a capo dell’esecutivo di Hong Kong, avrebbe consentito al governo di estradare chi fosse sospettato di crimini gravi, con l’obiettivo dichiarato di evitare che la città diventasse la destinazione di decine di potenziali criminali in fuga dal proprio Paese.
Il precedente risale all’anno scorso, quando non fu possibile estradare a Taiwan un diciannovenne accusato di aver ucciso una ragazza durante una vacanza a Taipei.
Ma per l’opposizione questa legge rischiava di poter essere utilizzata soprattutto per fini politici nei confronti dei dissidenti, con richieste di estradizione che potevano arrivare direttamente dalla Cina, a cui Carrie Lam è ritenuta troppo vicina. Così è scoppiata la protesta.

Il primo atto, il 9 giugno in Cina

I cittadini di Hong Kong sono scesi in massa nelle vie della città lo scorso 9 giugno. L’obiettivo è stato quello di manifestare contro il disegno di legge sull’estradizione forzata. Nonostante la polizia avesse detto che i manifestanti non erano più di 240mila, gli organizzatori hanno parlato di un milione di cittadini. É stata una delle più grandi proteste della storia della città dai tempi delle manifestazioni successive alle repressioni in piazza Tienanmen del 1989.

In Cina la manifestazione diventa rivolta

La protesta in Cina è proseguita nei giorni successivi finché il 12 giugno, giorno in cui si sarebbe dovuto discutere del disegno di legge. Migliaia di persone si sono radunate intorno al Parlamento di Hong Kong tentando anche di forzarne l’entrata. Le forze dell’ordine hanno risposto con lacrimogeni, idranti e spray al peperoncino. Più di 20 persone sono rimaste ferite e il capo della polizia, Lo Wai-chung, ha fatto sapere che gli scontri sono stati riclassificati come “rivolta”. Alla fine il Consiglio legislativo ha deciso di sospendere “a data da destinarsi” il dibattito sul disegno di legge.

L’economia di Hong Kong

“Un aspetto che molti media occidentali ignorano è che oggi Hong Kong conta per la Cina molto meno di quello che contava 25 anni fa quando Hong Kong ha cessato di essere protettorato inglese ed è stata restituita alla Cina – ha dichiarato ad In Terris Francesco Grillo, economista e manager italiano, direttore di Vision and Value, autore di “Lezioni Cinesi” (2019) per Solferino -. Allora, quando è stata ammainata la Union Jack, Hong Kong contava quasi il 20% del prodotto interno lordo cinese della ricchezza generabile in un anno in Cina. Oggi vale meno dell’1%”.

Il ruolo dell’ex colonia britannica

“Hong Kong è stata l’incontrastata piazza finanziaria più importante dell’Asia per molti anni ed oggi è stata superata anche da Shangay – ha continuato Grillo, esperto di cultura cinese ed insegnante alla Business Schoool di Pechino -. Oggi molte delle multinazionali europee sicuramente, ma molte anche di quelle americane hanno il quartier generale già sulla Cina continentale e non più ad Hong Kong. Non escludo in questo senso che ad Hong Kong si sommino aspettative di libertà a frustrazioni per un declino in termini di centralità finanziaria.Per questo motivo diciamo che io personalmente prevedo che non vedremo mai i carri armati ad Hong Kong com’è successo a Tienamen 30 anni fa. Il governo di Pechino non ha alcuna fretta di chiudere la questione”.

Perché non si trova una via di mediazione?
“La Cina ritiene l’isola una parte del proprio paese e gli studenti che sicuramente sono nati e cresciuti in un ambiente diverso hanno delle aspirazioni diverse. Però è difficile francamente immaginare che un occidente indebolito imponga ad una Cina, che comunque anche in epoca Covid sta crescendo, una mediazione interna. Quello è un pezzo di quel paese. Se ci fossero dei problemi in Italia tra la provincia autonoma di Bolzano e il resto del paese sarebbe un po’ difficile immaginare che un terzo possa intervenire per imporre una mediazione”.

Qual è il riflesso che questo clima può avere nel quadro asiatico e con l’Occidente?
“La Cina è in una posizione di forza. Un’altra leggenda metropolitana è che la Cina dipenda dall’esportazione in Occidente piuttosto che dall’esportazione negli Stati Uniti.
In effetti le esportazioni della Cina verso l’Europa e gli Stati Uniti valgono circa il 7% del prodotto interno lordo. É molto più importante la globalizzazione per l’Europa o per paesi come la Germania. Quello che bisogna fare, e questo non vale solo per Hong Kong, è ripartire proprio dall’Europa, dai nostri valori per raggiungere un’Europa che dovrebbe diventare più unita. Bisogna soprattutto rafforzarsi ed avere la capacità di rispettare e far rispettare dei valori dovunque essi vengano violati in maniera significativa. Ma questa è una strategia di medio periodo. Nel breve quello che ci possiamo limitare a fare è andare a chiudere il recinto li dove sono ‘scappati i buoi’. Bisognerebbe attrezzarsi, invece, per il futuro . Per difendere e promuovere il nostro “stile di vita”. Non come occidente, perché ormai questa definizione è sempre meno forte, ma come Unione europea per contare di più”.

 

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