AgenPress. In occasione della Giornata Internazionale della Donna che si celebra oggi 8 marzo, le associazioni AMSI (Associazione Medici di Origine Straniera in Italia), UMEM (Unione Medica Euromediterranea), Co-mai (Comunità del Mondo Arabo in Italia), e il Movimento Internazionale UNITI PER UNIRE, con l’AISC (Agenzia Mondiale Britannica Informazione Senza Confini) desiderano mettere in evidenza, con accurate indagini e statistiche frutto del lavoro dei propri componenti, giornalisti e medici e soggetti della società civile in oltre 120 paesi del mondo, l’importanza cruciale del ruolo delle professioniste sanitarie donne in Italia e nel mondo.
Non solo medici e infermiere, ma prima di tutto donne e anche madri e mogli che, con la loro competenza, spirito di sacrificio e empatia, sono fondamentali per la cura e la salute delle persone. La loro presenza è vitale per il sistema sanitario, ma il riconoscimento del loro ruolo resta insufficiente e le difficoltà che affrontano sono enormi.
Il Presidente Prof. Foad Aodi, medico, giornalista internazionale, esperto in salute globale, direttore dell’Agenzia Britannica Internazionale di Informazione Senza Confini (AISC) e docente all’Università di Tor Vergata, ha dichiarato: ”Le professioniste sanitarie donne sono pilastri fondamentali per il nostro sistema sanitario. La loro competenza è indiscussa, il loro spirito di sacrificio è incomparabile, e la loro empatia con i pazienti è ciò che li rende capaci di affrontare le sfide quotidiane di un lavoro così delicato e impegnativo. In questo 8 marzo, dobbiamo non solo celebrarle, ma sostenerle attivamente. Riconoscere il loro ruolo significa garantire loro pari opportunità e difendere la loro dignità in ogni ambito professionale.”
Le professioniste sanitarie in Italia: dati e realtà
In Italia, le professioniste sanitarie rappresentano la maggioranza nel settore con il 69%, la maggioranza sono infermiere con oltre il 40% del totale. Nonostante il loro contributo significativo, queste donne sono spesso sottovalutate e escluse dai ruoli di leadership, nonostante i passi in avanti compiuti in carriera. Ad esempio, la presenza femminile nelle posizioni dirigenziali è ancora bassa, con solo il 28% delle donne che occupano ruoli apicali all’interno delle strutture sanitarie pubbliche.
A livello globale, le donne nel settore sanitario sono anche la forza principale, ma continuano a fare i conti con numerose barriere. In molti paesi, le disparità salariali tra uomini e donne nel settore sanitario sono ancora significative, con le professioniste sanitarie che guadagnano in media il 20% in meno rispetto ai colleghi maschi.
Aggressioni e violenze: il dramma delle professioniste sanitarie
Un altro aspetto drammatico riguarda le aggressioni fisiche e verbali subite dalle professioniste sanitarie. In Italia, il 72% delle aggressioni al personale sanitario riguarda le nostre donne e su tutte le infermiere, che sono spesso le prime a fronteggiare situazioni critiche con pazienti e familiari. Le infermiere sono le vittime principali, rappresentando la categoria più colpita da violenze in ambito sanitario.
Il Prof. Aodi commenta: ”Ogni giorno, le infermiere e le professioniste sanitarie mettono a rischio la loro salute fisica e mentale, ma sono costrette a lavorare in un ambiente che non sempre le tutela adeguatamente. Le aggressioni sono un fenomeno inaccettabile e devono essere fermate con misure concrete. È fondamentale che le istituzioni introducano norme di protezione più severe.”
La discriminazione contro le professioniste sanitarie di origine straniera
Un ulteriore problema riguarda le professioniste sanitarie di origine straniera, che rappresentano una risorsa fondamentale per il sistema sanitario italiano. Tuttavia, queste donne affrontano difficoltà enormi nel veder riconosciuti i loro titoli e nel poter lavorare in pieno rispetto delle loro competenze. Il 50% delle professioniste sanitarie straniere in Italia ha incontrato nella propria vita ostacoli burocratici nel riconoscimento dei loro titoli, e il 5% ha dovuto lasciare il nostro Paese per via di queste difficoltà e 25 dottoresse hanno lasciato l’Italia nel 2024 per problematiche e discriminazione per il velo e 50 dottoresse molestie sessuali.
Il Prof. Aodi ribadisce:
”Le professioniste sanitarie straniere sono essenziali per il nostro sistema sanitario, ma troppo spesso si trovano ad affrontare barriere burocratiche e discriminazioni che ne limitano le opportunità. L’Italia non è un Paese razzista, ma le istituzioni devono agire affinché queste donne possano esprimere al massimo il loro potenziale, contribuendo al benessere della nostra società.”
Proposte e azioni concrete
Le associazioni AMSI, UMEM, Co-mai e UNITI PER UNIRE chiedono a gran voce:
1 Maggiori misure di protezione per le professioniste sanitarie, in particolare contro le aggressioni fisiche e verbali.
2 Politiche inclusive e il riconoscimento dei titoli professionali delle donne straniere, che possano garantire loro l’accesso alle opportunità professionali senza ostacoli.
3 Parità di opportunità nei ruoli di leadership, promuovendo l’accesso delle donne ai ruoli dirigenziali e apicali all’interno delle strutture sanitarie.
4 Un cambiamento culturale, che riconosca l’importanza del lavoro delle professioniste sanitarie, soprattutto in un contesto in cui la loro empatia e il loro spirito di sacrificio sono essenziali per il benessere dei pazienti.
“Non possiamo più ignorare il valore delle professioniste sanitarie, che sono ogni giorno al nostro fianco, curando, assistendo e salvando vite. È il momento di dar loro il giusto riconoscimento, di valorizzarle e di garantire loro un ambiente di lavoro sicuro, rispettoso e paritario.” – conclude il prof. Aodi.