AgenPress. Il Giubileo Ordinario della Chiesa Cattolica non è un evento come tutti gli altri. È un appuntamento che ricorda all’Italia e al mondo che Roma non è una città come tante, ma è il centro della cristianità.
Grazie all’Anno Santo, la Capitale accoglierà milioni di persone da ogni parte del pianeta e questo rappresenterà una grande occasione di crescita per il nostro tessuto economico e produttivo, in particolare per quello che opera nella Città Eterna e nel territorio regionale. Ciò ha previsto anche la necessità di programmare e portare avanti opere infrastrutturali importanti, per rendere Roma più moderna e maggiormente in grado di accogliere un flusso così significativo di pellegrini e turisti. Priorità che ha spinto questo Governo a dare un forte impulso all’organizzazione, istituendo a Palazzo Chigi la cabina di coordinamento e lavorando in sinergia con il Campidoglio e la Regione Lazio per individuare gli interventi e seguirne la realizzazione. Ma tutto questo, per quanto estremamente significativo e rilevante, non è l’essenza del Giubileo. L’Anno Santo è, prima di tutto, un evento di fede che rinnova solennemente una tradizione religiosa plurisecolare.
Nella storia europea e non solo, il pellegrinaggio giubilare non è mai stato un fatto marginale, ma un elemento che ha contribuito a disegnare i tratti distintivi della nostra civiltà. L’Europa è sorta anche attorno ai cammini dei pellegrini, vie che ancora oggi esistono e sono calcate dai fedeli. Dal Cammino di Santiago alla Via Francigena, solo per richiamare i più famosi. Roma, in questa rete che ha attraversato i millenni, è allo stesso tappa e destinazione finale. È stata anche l’ultima meta del viaggio di San Pietro, che nel pieno della persecuzione dei cristiani aveva scelto di abbandonare l’Urbe. Sulla via Appia per lasciare Roma, il Principe degli Apostoli incrocia un viandante diretto nella direzione opposta. “Quo vadis, Domine?”, chiede Pietro allo sconosciuto “pellegrino”. La risposta svela all’apostolo l’identità dell’Uomo: “Vado a Roma, per essere crocifisso nuovamente”. Pietro, allora, torna sui suoi passi. Quel cammino segna un punto di svolta nella sua vita. Quell’incontro ha impresso un sigillo, anche materiale, nella storia di Roma e della Chiesa universale.
La rete dei cammini è un po’ come l’ossatura che sostiene e protegge il Vecchio Continente, e lo rende quello che è. E io credo che, da italiani e da europei, abbiamo una responsabilità in più nel riscoprire e nel valorizzare questo specifico aspetto del Giubileo. In occasione del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, Papa Francesco ha ricordato che “l’Europa non è un insieme di regole da osservare, non un prontuario di protocolli e procedure da seguire” ma è una “famiglia di popoli”. Questo vuol dire che l’Europa, come ogni famiglia, condivide un’identità, una storia, un cammino. È un’espressione molto bella perché è proprio nella famiglia che l’identità di ognuno di noi si forma e si pone in relazione con l’altro. È il luogo nel quale si conosce e si impara la solidarietà e la cura dell’altro. Essere una “famiglia di popoli” vuole dire, per l’Europa, essere una comunità fondata sulla solidarietà e sul rispetto dell’altro, non sulla prevaricazione o sugli egoismi particolari.
L’Europa è la nostra casa, è il luogo nel quale le cose sono familiari e dove mi riconosco e riconosco l’altro. E la casa europea si fonda sulle radici classiche e giudaico-cristiane, che hanno permesso all’Europa di affermare la pari dignità di ogni persona e di mettere al centro l’uomo. Questa è la vera Europa, alla quale apparteniamo e nella quale riconoscersi. È l’Europa che si fonda sulla centralità della persona e rifiuta la cultura dello scarto, che si basa sul primato della politica e respinge le derive tecnocratiche, che rispetta le identità altrui senza però rinnegare la propria, che costruisce pace laddove altri seminano morte e distruzione.
Molto spesso, quando si chiede a chi ha vissuto l’esperienza di un pellegrinaggio di raccontarla, ci si sente rispondere che quel cammino ha rappresentato un punto di svolta. Ci viene spiegato, cioè, che il pellegrinaggio ti libera dal superfluo, e che svolge un po’ la stessa funzione del setaccio che pulisce il chicco di grano dopo la mietitura, preparandolo a diventare farina e poi pane. Come il setaccio elimina ciò che è inutile, così il pellegrinaggio spinge chi lo fa a disfarsi di quello che non serve e a tornare alla propria essenza.
Lo zaino del pellegrino è leggero e contiene solo quello che serve, ovvero l’essenziale. È ciò che siamo chiamati a fare anche noi, come singoli e come comunità nazionale ed europea: mettere nel nostro zaino soltanto quello che è davvero utile per il nostro cammino, liberandoci da ciò che è superfluo e che ci impedisce di camminare velocemente. È la strada da seguire, per superare le insidie dello sradicamento e dell’omologazione e riscoprire ciò che siamo.
Giorgia Meloni
Presidente del Consiglio dei Ministri