AgenPress. A trent’anni dalla scomparsa di Karl Popper la cultura del “plurale” può essere considerata una “società aperta”? Popper era nato, in Austria, nel 1902 e morto, a Londra, nel 1994. La società aperta ha ancora bisogno di una fenomenologia? Una domanda che lascio naturalmente aperta.
Un filosofo antropologo come Karl Popper è non solo un pensiero aperto. È una civiltà di memorie filosofiche da comprare con il resto della rivolta dei linguaggi. Forse anche per questo incontra nel suo dialogare del Novecento Albert Camus e non solo.
Una discussione politica seria non dovrebbe prescindere da una valenza antropologica e filosofica. Karl Popper ha manifestato più volte questo interesse. Ma lo stesso Albert Camus nei suoi saggi sulla rivolta aveva posto sotto interesse il problema. Popper lo pone proprio con la fine del marxismo come fatto storico. Ebbe a scrivere: “Io ho una grande speranza, e cioè che, con la scomparsa del marxismo, noi riusciremo con successo ad eliminare la pressione delle ideologie come centro della politica”.
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amus è ancora più diretto: “Il marxismo non è scientifico; è, al massimo, scientista”. Il problema si traccia sul filo direttamente filosofico. Camus rispetto a Sartre comprende il senso dei contesti che mutano non per volontà degli uomini ma per una necessità storica. Ma questo avviene in tutti? La storia! La storia e le evoluzioni della storia. Popper sottolinea: “La storia dell’evoluzione suggerisce che l’universo non abbia mai smesso di essere creativo o ‘inventivo'”.
Tempi e storie. Non più tempo e storia. Si cammina a volte senza passi. Si butta il piede come se fosse un saltellare. Questa società è un saltellio di frequenze di vite ritrovate e perse. Essere fedeli. A cosa?
Papa Benedetto XVI nall’Omelia dell’11 giugno 2010: “Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”: il pastore ha bisogno del bastone contro le bestie selvatiche che vogliono irrompere tra il gregge; contro i briganti che cercano il loro bottino. Accanto al bastone c’è il vincastro che dona sostegno ed aiuta ad attraversare passaggi difficili. Ambedue le cose rientrano anche nel ministero della Chiesa, nel ministero del sacerdote. Anche la Chiesa deve usare il bastone del pastore, il bastone col quale protegge la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti. Proprio l’uso del bastone può essere un servizio di amore. Oggi vediamo che non si tratta di amore, quando si tollerano comportamenti indegni della vita sacerdotale. Come pure non si tratta di amore se si lascia proliferare l’eresia, il travisamento e il disfacimento della fede, come se noi autonomamente inventassimo la fede. Come se non fosse più dono di Dio, la perla preziosa che non ci lasciamo strappare via. Al tempo stesso, però, il bastone deve sempre di nuovo diventare il vincastro del pastore – vincastro che aiuti gli uomini a poter camminare su sentieri difficili e a seguire il Signore”.
Una pedagogia senza regole è come uno Stato senza Costituzione. Da Maria Montessori a Popper i processi educativi sono metodologie che toccano quella dimensione dell’uomo considerato come interprete di un umanesimo antropologico. Oltre una visione teologica ma dentro una filosofia come sguardo attento verso l’epistema. La regola primaria è proprio qui. Ovvero una società non considerata aperta è una politica priva di cultura.
È Popper che smonta la visione “collettiva” delle storie condivise. Le storie o la storia, meglio, è plurale, ed essendo tale ha una lettura pedagogica e antropologica dei fatti, degli avvenimenti, degli eventi.
Anche sulla questione tra famiglia, scuola e società, non si può insistere su un percorso permanente, inteso come educazione permanente. La quale resta distante da una pedagogia marxista o “collettiva”.
Popper: “Il marxismo è solo un episodio – uno dei tanti errori che abbiamo commesso nella perenne e pericolosa lotta per costruire un mondo migliore e più libero”.
Il permanente è dentro un sistema di strategia normale. Il modello educativo variante è dentro, invece, una concezione culturale plurale. Ecco perché l’adattamento o il disadattamento sono incisi pedagogici in una cultura transitiva e di valori costanti. Valore, ovvero ciò che vale vivere.
Oggi le società sono in transizione. Anche i comportamenti e quindi i valori. Non può esistere una storia condivisa e tanto meno un immaginario collettivo. Siamo dentro una civiltà aperta, non chiusa e quindi è il senso del Plurale che dovrebbe dominare anche in un discorso di metodologia didattica.
Popper: “Non esiste alcun criterio generale di verità. Ma ciò non legittima la conclusione che la scelta fra teorie concorrenti sia arbitraria: significa soltanto e molto semplicemente che noi possiamo sempre errare nella nostra scelta, che possiamo sempre vederci sfuggire la verità o che possiamo non raggiungerla, che non possiamo mai pretendere la certezza; che noi insomma siamo fallibili”.
Una filosofia pedagogica del plurale non è ancora penetrata nei tessuti scolastici ed educativi in termini metafisici. Ma è necessario che ciò avvenga per mutare il rapporto con i ragazzi e con generazioni che già sono molto distanti dai docenti stessi.
Il tracciato deve, appunto, riguardare il viaggio epistemologico che va dalle case dei bambini della Montessori al mondo plurale di Popper. Un Paradosso. Ma la cultura è sempre una pedagogia dei saperi e delle conoscenze Facile? Dipende dalla formazione e dallo spessore culturale che hanno i docenti, i quali oltre il loro scibile a argomenti di insegnamento devono poter andare oltre.
Montessori: “La scuola è quell’esilio in cui l’adulto tiene il bambino fin quando è capace di vivere nel mondo degli adulti senza dar fastidio”. Una cosa mi sembra certa ed è sempre Popper a sottolineare: “Il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte”.
La politica, dunque, resta fondamentale. Ma una politica senza cultura resta una politica chiusa e ottusa.
Abbiamo bisogno di testimonianze. Forti, come quelle che diede e propose Benedetto XVI. Questa sottolineatura la si legge nel suo “Gesù di Nazaret”:
“Le testimonianze neotestamentarie non lasciano alcun dubbio che nella “risurrezione del Figlio dell’uomo” sia avvenuto qualcosa di totalmente diverso. La risurrezione di Gesù è stata l’evasione verso un genere di vita totalmente nuovo, verso una vita non più soggetta alla legge del morire e del divenire, ma posta al di là di ciò – una vita che ha inaugurato una nuova dimensione dell’essere uomini. Per questo la risurrezione di Gesù non è un avvenimento singolare, che noi potremmo trascurare e che apparterrebbe soltanto al passato, ma è una sorta di “mutazione decisiva” (per usare analogicamente questa parola, pur equivoca), un salto di qualità. Nella risurrezione di Gesù è stata raggiunta una nuova possibilità di essere uomini, una possibilità che interessa tutti e apre un futuro, un nuovo genere di futuro per gli uomini.
Con ragione, quindi, Paolo ha inscindibilmente connesso la risurrezione dei cristiani e la risurrezione di Gesù: “Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto…Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1 Cor 15,16.20). La risurrezione di Cristo o è un avvenimento universale o non è, ci dice Paolo.
E solo se la intendiamo come avvenimento universale, come inaugurazione di una nuova dimensione dell’esistenza umana, siamo sulla strada di una giusta interpretazione della testimonianza sulla risurrezione presente nel Nuovo Testamento.
Da qui si capisce la peculiarità di tale testimonianza neotestamentaria. Gesù non è tornato in una normale vita umana di questo mondo, come era successo a Lazzaro e agli altri morti risuscitati da Gesù, Egli è uscito verso una vita diversa, nuova – verso la vastità di Dio e, partendo da lì, Egli si manifesta a noi…”.
Ciò che manca è il senso del Plurale perché si insiste sempre su una questione collettiva. È come se la storia non avesse inciso nel perimetro o nella circolarità delle esistenze. Il concetto di plurale non significa democrazia.
Ciò che manca a questa società-civiltà è un orizzonte di Plurale. Attenzione. L’eccesso di un uso sfacciato di falsa democrazia porta allo schiaffo volgare al pensiero. Questo non è possibile anche se è pensabile. Il soggetto uomo è quella persona che paga le conseguenze di una democrazia malata.
È una percezione endemico che può dare spazio alla rottura tra storia, spazio, tempo e scienza. Anche la scienza è imperdonabile quando nei suoi empirismi non introduce l’orizzonte del Plurale.
Essere Plurale è Essere senza perdere eredità e identità. Forse Camus e Popper sono la contraddizione di una verità non cercata non ricercata e mai arrivata e mai arriverà.
In fondo “La certezza di un Dio che conferisca un significato alla vita supera di molto, in attrattiva, il potere di fare il male impunemente” (Camus). Ha molto a che dire con Popper?
Pierfranco Bruni