Inquietante stranezza nelle morti per COVID-19

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Galileo Violini1, and Behrouz Pirouz2

1 Centro Internacional de Física. Bogotá, Colombia; leoviolini@yahoo.it

2 Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Energetica e Gestionale, Università della Calabria, Rende, Italia; behrouz.pirouz@unical.it


Agenpress. All’inizio dell’epidemia un rapporto dell’ISS1 analizzò le cause di 335 decessi e pose in evidenza che il 50 % dei deceduti aveva almeno tre serie infermità pregresse di una lista di una decina e che il rimanente 50% si distribuiva  in parti circa uguali tra un gruppo che ne aveva due e un altro con una. Solamente in tre dei casi esaminati, i deceduti apparentemente morirono unicamente a causa del virus.

Poi vennero i dati sul possibile legame tra mortalità ed età e il tema delle concause di decessi non fu uno di quelli maggiormente approfonditi, se non in connessione alle morti in casa di riposo. Piuttosto furono i dati globali del numero totale dei contagi, dei morti, dei guariti, della pressione sul sistema sanitario nazionale e regionale quelli che attrassero l’attenzione. Tuttavia dati relativi allo studio dei decessi continuarono ad essere disponibili, anche se in numero limitato.

L’ultimo rapporto disponible (4 giugno) 2 si riferisce alle cartelle cliniche di 3335 deceduti, pari al 10.3 % di un totale di 32448 (dato questo che presumiblemente fissa la data limite dell’analisi intorno al 21 maggio).

Il risultato dello studio delle prime 335 cartelle risulta modificato leggermente. I deceduti con più di tre infermità serie (da una lista, questa volta, di sedici, di cui la più frequente è l’ipertensione arteriosa) sono circa il 60%, quelli con due infermità il 21.5 %, quelli con una, circa il 15% e i casi senza alcuna altra malattia importante pregressa sono 136 (4.1%). Questi risultati sono simili per genere, eccetto che in relazione all’età dei deceduti.

Il tema ha continuato a non essere oggetto di molta attenzione (e la limitatezza del campione analizzato pare confermarlo), anche forse perché nelle ultime settimane in un crescente numero di regioni sono diminuiti e perfino spariti i nuovi contagi e il numero dei morti.

Tuttavia, proprio questa riduzione ha contribuito a porre in evidenza l’esistenza di un problema che passava inosservato quando i numeri erano maggiori. Da quale gruppo di infermi provengono i morti conteggiati nelle statistiche?

Nelle sette regioni italiane maggiormente colpite dalla pandemia, Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Liguria, Lazio e Toscana, abbiamo analizzato i dati medi giornalieri dal 1 maggio all’11 giugno relativi al numero totale di contagiati, N, di ricoverati con sintomi lievi, L, di ricoverati in terapia intensiva, TI, di ricoverati a casa, C, per confrontarli con quello medio dei decessi, D.3

Due osservazioni sono d’obbligo:

  • Il fatto che si presentino medie giornaliere non deve occultare che il totale dei decessi nelle sette regioni nel`periodo indicato supera i 5000.
  • Presumibilmente il tema dei decessi nelle case di riposo durante tale periodo è stato meno rilevante che nei due mesi precedenti.

Nella tabella presentiamo il risultato della nostra analisi e nelle ultime due colonne indichiamo il rapporto R1 tra D e TI, e (in percentuale) quello, R2, tra D e la somma di L e C. I primi cinque dati sono arrotondati all’unità.

Regione NLTICDR1R2
Lombardia89-99-11-346605.413.5
Piemonte102-47-4-244215.257.2
Veneto26-22-3-1391247.9
Emilia-Romagna56-45-4-129153.758.6
Liguria41-13-2-638410.6
Lazio29-25-1-197715.9
Toscana17-11-3-10251.412.4

Il rapporto R1 pare indicare, soprattutto se accompagnato dalla costatazione che le variazioni giornaliere di TI sono piccole, e da quella della diminuzione di TI, che la percentuale dei morti in terapia intensiva dovrebbe essere marginale, in accordo con quanto si deduce dalla figura 4 del rapporto menzionato, che permette calcolare un rapporto 1 a 3 tra deceduti ricoverati in rianimazione e non in rianimazione.

Quindi i deceduti devono o appartenere principalmente alle categorie L e C, in un numero però maggiore di quello che si dedurrebbe dallo studio dellle 3335 cartelle cliniche, e questo non può non preoccupare, sia per il numero dei decessi sia perché, presumibilmente, la diagnosi che conduce a trattare un paziente in L o C non parrebbe, di massima, far prevedere un esito infausto, o appartenere ai nuovi casi, per altro poco probabile, dati i valori assoluti di D.

Solamente un’analisi esaustiva delle cartelle cliniche dei deceduti, e soprattutto della categoria in cui cadde il loro trattamento può far luce su quanto segnaliamo, che, soprattutto in considerazione della spesso ventilata ipotesi di una seconda ondata dell’epidemia, riteniamo richieda e giustifichi la massima attenzione.

Dato l’andamento attuale della pandemia in Italia, non pare impossibile, se necessario, distogliere personale qualificato da funzioni in altro momento più pressanti e urgenti e non si deve trascurare che per altro già esiste il Gruppo della Sorveglianza COVID-19, autore del rapporto di ref.2, composto da ben 65 esperti.

 

 

Bibliografia

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