L’Italia riparte, i Tribunali no: la giustizia rischia il pantano

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A Interris.it l’intervista al dott. Alfredo Mantovano, consigliere alla Corte Suprema di Cassazione e vicepresidente al Centro Studi Livatino, gruppo di giuristi di ispirazione cattolica


Agenpress. Riparte il campionato di calcio, riaprono palestre e ristoranti ma i tribunali restano con i portoni chiusi. L’Italia della fase 2 resta con la giustizia sospesa, in questo momento il nostro Paese non è in grado di garantire uno dei diritti più importanti e fondamentali delle moderne democrazie. Il Governo non è stato in grado di garantire la ripresa dei processi in sicurezza e questo ha ripercussioni pesantissime per imputati di ogni tipo, lavoratori, imprese e semplici cittadini che vendono le loro vite e le loro attività stand by in attesa di una sentenza che è stata rinviata a data da destinarsi.

Venerdì scorso davanti a tutti i principali tribunali italiani è andata in scena la protesta degli avvocati contro questo stop intollerabile del sistema giudiziario. Così recita la locandina del flash mob: “Tutti noi avvocati d’Italia riconsegniamo i nostri codici davanti ai Tribunali. È il nostro grido di dolore per la giustizia sospesa”. Gli avvocati lanciano quindi li monito circa una vera e propria violazione legalizzata dei diritti costituzionali dei cittadini, basta pensare alle persone colpite da provvedimenti di custodia cautelare che rischiano di farsi molti mesi di carcere preventivo a causa di un rinvio ingiustificato delle udienze.

“Queste consegne simboliche sono indirizzate a chi ha la responsabilità politica e amministrativa di aver sospeso la giustizia – ha spiegato uno dei promotori dell’iniziativa, l’avvocato Beppe Gassi – perché si faccia un provvedimento uniforme e omogeneo che stabilisca regole valide per tutti” per la celebrazione delle udienze. “Bisogna riattivare la macchina della Giustizia a pieno regime – ha detto ancora Gassi – nell’interesse della collettività, perché è un servizio pubblico essenziale come quello sanitario. Non è accettabile che il cittadino debba vedersi rinviare l’udienza al 2021 o al 2022, se va bene”.

Non meno pesanti sono i danni economici del fermo della giustizia, stimati in circa 10 miliardi di euro, come ricorda a Interris.it Alfredo Mantovano, consigliere alla Corte Suprema di Cassazione e vicepresidente del Centro Studi Livatino, gruppo di giuristi di ispirazione cattolica.

Dott. Mantovano qual è ad oggi la situazione della giustizia italiana? Davvero non era possibile ripartire in sicurezza?
“Tranne limitate eccezioni, come l’arresto in flagranza di reato, l’attività giudiziaria – civile, penale, amministrativa e tributaria – è formalmente ferma e riprenderà nel mese di settembre. L’emergenza è stata protratta fino al 31 luglio ma, come tutti sanno, il mese di agosto e i primi settembre sono coperti dal cosiddetto periodo feriale durante il quale non si trattano gli affari giudiziari ordinari. Allora è veramente singolare che il 20 giugno riprenda il campionato, e siano riprese nel frattempo tante altre attività che fanno ritrovare insieme le persone, e invece resti bloccato un settore così importante per la vita del Paese e delle singole persone”.

Viene meno il diritto di essere giudicati…
“No è anche peggio, perché la sospensione dell’attività giudiziaria ha portato alla sospensione del decorso dei termini della prescrizione e, cosa anche peggiore, alla sospensione dei termini di custodia cautelare. Il termine complessivo di tutte le fasi di giudizio resta comunque quello del codice, però se attendo un giudizio in primo grado non me ne faccio nulla che nel grado massimo i tempi saranno poi rispettati. Comunque avrò un ritardo per dimostrare la mia innocenza e nel frattempo resto in carcere o agli arresti domiciliari, aggiungendo al disagio delle misure cautelari quello della pandemia. E chi mi ripaga per tutto questo?”.

Poi ci sono coloro che aspettano importanti cause di lavoro, magari per essere reintegrati, o cause per tornare in possesso di un bene. Anche questi non sono disagi da sottovalutare, no?

“Noi del Livatino abbiamo avanzato delle proposte per la riapertura che fanno un discorso d’insieme. Anche il civile e l’amministrativo meritano attenzione. In un momento di crisi e di carenza di liquidità il blocco dell’attività giudiziaria ha una ricaduta di 10 miliardi di euro tra procedure esecutive, mancate vendite alle aste immobiliari, procedure fallimentari. I soggetti colpiti sono privati, possessori di immobili, aziende e le amministrazioni pubbliche. Tutte realtà che in questo momento hanno il fiato grosso e necessità di risorse finanziarie e una parte di queste potrebbero venire proprio dalle ripresa dell’attività giudiziaria”.

Così si blocca il Paese…
“Esatto, le eccezioni sono rarissime, tipo quei processi in cui la custodia cautelare scade nel periodo dell’emergenza, oppure per il soggetto arrestato in flagranza. Per tutti gli altri 60 milioni di italiani la giustizia è bloccata e non se ne capisce la ragione. Ci sono danni alle persone e al portafoglio. Tutte le procedure rinviate non è che sono state fissate a settembre, molte cause già sono state fissate alle primavera del 2021, il danno è ancora più grave dei 5 mesi di sospensione, questo periodo sarà un moltiplicatore dei termini”.

Non si poteva fare altrimenti?
“Sarebbe stata sufficiente un po’ di intelligenza per poter riprendere in sicurezza”.

Basterebbero i dispositivi di sicurezza in aula oppure è immaginabile un processo con collegamento da remoto?
“Uno dei decreti varati in questi mesi ha previsto una notevole estensione del processo da remoto, ma le proteste sono state tali e tante, da parte di tutti gli operatori della giustizia, sulla base anche delle prime esperienze concrete, che un successivo decreto legge ha limitato a ipotesi molti circoscritte questa possibilità. Io che faccio da sempre il penale ho bisogno di vedere il testimone, ho bisogno di ascoltare non solo quello che dice ma di guardare come si muove, se è nervoso o sudato, vederlo è un elemento per verificarne l’attendibilità. E alla stessa maniera non si può decidere da remoto facendo la camera di consiglio virtuale dove ognuno sta a casa sua e ci si parla attraverso lo smartphone, io devo guardare il collega negli occhi. Il processo da remoto è la morte della giustizia e le prime esperienze sono state disastrose, stiamo parlando di giustizia non di colloqui tra amici”.

Le soluzioni quali erano?
“Basta procedere con il distanziamento e i dispositivi di sicurezza. E’ vero che alcuni processi prevedono la presenza del pubblico ma era perfettamente compatibile con l’emergenza limitare l’accesso del pubblico o farlo coincidere solo con le parti interessate. E’ possibile fare una previsione dei tempi dei processi, ovvero se ho un’udienza che ha cinque testimonianze nessuno mi costringe a fissarle tutte allo stesso orario, posso scaglionarle, è un po’ quello che si sta facendo in altri settori, negli studi medici, dal commercialista… Non vedo perché non si poteva fare nei tribunali”.

Chi ha bloccato queste soluzioni?
“Io non riscontro una ritrosia degli operatori ma un blocco da parte del governo, per il quale evidentemente la giustizia e la scuola non sono settori così importanti da dover ripartire”.

Quindi da parte dei giudici c’era la volontà di continuare?
“Io lavoro in Cassazione e in buona parte dei colleghi ho colto un notevole disagio in questi mesi. Certo i primi mesi c’era impossibilità di spostarsi e se uno stava a Milano non poteva venire in Cassazione a Roma ma ora si potrebbe fare tutto e c’è la volontà di riprendere. Se ci poniamo il problema di come raggiungere le località turistiche credo che la giustizia abbia un’importanza almeno pari”.

Tutto succede mentre scoppia l’ennesimo scandalo sulla giustizia che vede al centro Palamara, l’Anm e i rapporti tra alcuni magistrati e il mondo politico. Lei che idea si è fatto?
“E’ molto doloroso che si parli di giustizia in una corniche di vicende poco decorose, per usare un eufemismo, e che invece non se parli per il servizio che continua a non essere erogato. In pochi hanno ripreso le nostre proposte operative: la sanificazione dei palazzi di giustizia; una possibile volontaria rinuncia dei magistrati alle fruizione delle ferie per coprire un maggior numero di processi da trattare; un uso corretto dell’informatica per esempio nelle notifiche degli atti. Se queste cose fossero messe tutte insieme si potrebbe ripartire anche il primo luglio”.

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