Bankitalia. Panetta: non siamo condannati alla stagnazione. In termini pro capite, il reddito reale disponibile delle famiglie è fermo al 2000

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AgenPress – Nell’area dell’euro, l’economia italiana è quella con la minore crescita
del prodotto per abitante nell’ultimo quarto di secolo. La produttività del
lavoro è rimasta ferma; solo nel 2023 gli investimenti sono tornati a superare
il livello precedente la crisi finanziaria, mentre le ore lavorate totali non lo
hanno ancora recuperato.
L’evoluzione dei salari ha riflesso il ristagno della produttività: i redditi
orari dei lavoratori dipendenti sono oggi inferiori di un quarto a quelli di
Francia e Germania.  In termini pro capite, il reddito reale disponibile
delle famiglie è fermo al 2000, mentre in Francia e in Germania da allora è
aumentato di oltre un quinto.

Non siamo tuttavia condannati alla stagnazione. La ripresa registrata
dopo la crisi pandemica è stata superiore alle previsioni e a quella delle altre
grandi economie dell’area. Contrariamente a quanto avvenuto in episodi di
crisi del passato, è stata intensa anche nel Mezzogiorno.
Tra il 2019 e il 2023, in una fase di forti turbolenze, il PIL italiano è
cresciuto del 3,5 per cento, contro l’1,5 della Francia e lo 0,7 della Germania;
lo scarto è maggiore in termini pro capite. L’occupazione è aumentata del
2,3 per cento – quasi 600.000 persone – trainata dalla componente a tempo indeterminato. Il tasso di disoccupazione è sceso di 2,3 punti percentuali, pur
restando alto, al 7,7 per cento.
La ripresa è stata alimentata da una forte espansione degli investimenti,
sostenuta anche da incentivi fiscali. Sono cresciuti molto più che nella media
degli altri principali paesi europei non solo gli investimenti in edilizia,
favoriti da agevolazioni generosissime, ma anche quelli in macchinari e
beni intangibili, che riflettono l’avanzamento tecnologico e le attese circa
l’evoluzione futura della domanda.

Le esportazioni di beni sono aumentate del 9 per cento, più della
domanda estera potenziale, grazie ai miglioramenti di competitività di costo
e di qualità conseguiti negli ultimi anni e alla diversificazione per settore e
mercato di sbocco. In Germania esse sono rimaste sostanzialmente stabili,
in Francia sono diminuite.
Una volta riassorbito il peggioramento delle ragioni di scambio dovuto
allo shock energetico, il saldo della bilancia commerciale è tornato rapidamente
positivo. Il nostro paese è oggi creditore netto nei confronti del resto del
mondo per 155 miliardi di euro, il 7,4 per cento del PIL; dieci anni fa la nostra
posizione estera netta era debitoria per il 23 per cento del PIL e costituiva un
elemento di vulnerabilità.
L’economia italiana ha certo beneficiato a lungo di politiche monetarie
e di bilancio espansive. Ma ha tratto vantaggio anche dal processo di
ristrutturazione del tessuto produttivo.

Nell’ultimo decennio sono migliorate la redditività e la posizione patrimoniale delle imprese.  È inoltre cresciuto il peso delle aziende più grandi, che possono cogliere meglio i benefici della tecnologia e dell’internazionalizzazione. Nell’industria e nei servizi privati non finanziari si è registrato un significativo, ancorché insufficiente, incremento di produttività. Escludendo il comparto dei mezzi di trasporto, la nostra manifattura è oggi la più
automatizzata tra le principali economie dell’area dell’euro: nel 2021 in
Italia vi erano 13,4 robot ogni 1.000 addetti, contro 12,6 in Germania e
9,2 in Francia. Dal 2019 le imprese industriali hanno raddoppiato, al 17
per cento, la quota degli investimenti in tecnologie digitali.
Il ritorno all’accumulazione di capitale e la capacità di affermarsi sui mercati
internazionali sono incoraggianti segnali di forza, che vanno consolidati.
Guardando al futuro, l’economia italiana potrà conseguire ritmi di
sviluppo sostenuti se saprà, da un lato, affrontare le conseguenze del calo e
dell’invecchiamento della popolazione e, dall’altro lato, imprimere una decisa
accelerazione alla produttività.

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