AgenPress. Signori Presidenti, Onorevoli Colleghi, siamo in quest’Aula, oggi, per rendere omaggio ad un grande uomo e ad un grande Pontefice, che ha guidato la Chiesa con segni profetici in tempi complessi e certamente imprevedibili.
Ricordare Papa Francesco non significa solamente omaggiare un protagonista assoluto della nostra epoca, ma parlare di un uomo che, anche per me personalmente, ha rappresentato molto di più.
Io ho avuto il privilegio di un rapporto personale, sincero, con il Pontefice. Che mi ha fatto comprendere il tratto forse più straordinario del suo modo di interpretare il pontificato. Papa Francesco era un uomo che sicuramente sapeva essere determinato, però quando parlavi con lui non esistevano barriere. Non creava distanza con il suo interlocutore. Con lui eri a tuo agio e potevi parlare di tutto. Potevi aprirti, potevi raccontarti, senza filtri, senza timore di essere giudicato. Così lui poteva vedere la tua anima, poteva vederla a nudo. Voleva ascoltarti, come se per lui significasse dire “Io ci sono per te”. Lo faceva per tutti, lo faceva con tutti. E ti faceva sentire prezioso, in quanto unico e irripetibile, come ogni essere umano che nasce sulla terra.
Sarò sempre grata a Papa Francesco per il tempo trascorso insieme, per i suoi insegnamenti, per i suoi consigli. Tra i quali – è stato ricordato – il più assiduo era: “non perda mai il senso dell’umorismo”. È stata anche l’ultima cosa che mi ha detto. C’era un senso profondo anche in questo, ovviamente. La sua allegria contagiosa, fino all’ultimo, era un insegnamento sull’amore per la vita, e su come si assolvono alcune missioni.
Disse ai pellegrini “è triste vedere un prete, un religioso, un monarca inacidito”. Credo che il senso fosse che non puoi guidare gli altri se non sai trasmettere gioia per quello che fai.
E Papa Francesco sapeva trasmettere la gioia, la passione, per la sua missione. Ne sapeva trasmettere anche la difficoltà, e questo dava alla sua allegria un valore molto più grande. Ha adempiuto alla sua missione fino all’ultimo giorno, quando ha impartito la benedizione Urbi et Orbi e abbracciato i fedeli a San Pietro. E ha sintetizzato, nelle semplici parole sussurrate al suo infermiere: “grazie per avermi riportato in piazza” la cifra forse più significativa del suo intero pontificato.
È stato ricordato da tutti. Il mondo ricorderà Papa Francesco come il Papa della gente, degli ultimi, degli invisibili, dei poveri, delle periferie fisiche ed esistenziali. Sapeva che con la sua voce poteva restituire voce a chi non ce l’aveva, e lo ha fatto anche rompendo gli schemi, perché diceva che “non devi avere paura di andare controcorrente se è per fare una cosa buona”. È così che il Papa venuto da lontano è riuscito ad arrivare fin dentro al cuore delle persone.
Papa Francesco ha saputo interpretare in modo nuovo molte cose, a partire dai rapporti internazionali. Anche questo è stato ricordato. Diceva che “la diplomazia è un esercizio di umiltà perché richiede di sacrificare un po’ di amor proprio per entrare in rapporto con l’altro, per comprenderne le ragioni e i punti di vista”. E è un insegnamento che intendiamo coltivare.
I suoi viaggi avevano questo filo conduttore, e per questo sono entrati nella storia. Ricordo anch’io l’apertura della Porta Santa per il Giubileo della Misericordia nella Repubblica Centrafricana, terra insanguinata da conflitti etnici e religiosi, così come il viaggio nella terra d’Abramo, l’Iraq, dove nel marzo 2021 abbracciò i cristiani e gli yazidi perseguitati dal terrorismo. Papa Francesco non hai smesso di invocare la pace e la fine delle guerre che feriscono l’umanità, dalla “martoriata” Ucraina al Medio Oriente, passando per il Sahel. Lo ha fatto anche quando sapeva che alcuni avrebbero potuto non capire, e che le sue parole avrebbero potuto essere travisate e strumentalizzate. Ma i suoi molteplici appelli alla pace rappresentano per noi, oggi, un ulteriore monito alla responsabilità.
Da leader globale, ha richiamato l’attenzione del mondo sulle grandi sfide del nostro tempo, dalla difesa del Creato fino all’intelligenza artificiale. Aveva introdotto il concetto di “algoretica”, dare un’etica agli algoritmi, per invocare uno sviluppo delle nuove tecnologie che non superasse il limite invalicabile della centralità dell’uomo. E quando gli chiesi di partecipare al summit del G7 per portare questo messaggio, lui non esitò. Io, il Governo e l’Italia gli saremo per sempre riconoscenti anche per questo, per averci regalato quella presenza storica, la prima volta di un pontefice ai lavori del Gruppo dei Sette.
E in quell’occasione, tra i tanti messaggi che ci ha consegnato, ce n’è uno che tocca tutti in quest’aula.
Il Santo Padre ha detto che “la politica serve” e che “di fronte a tante forme di politica meschine, tese all’interesse immediato, la grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi, pensando al bene comune a lungo termine”.
Come Pontefice ha vissuto quella che lui stesso ha definito non già un’epoca di cambiamenti, ma un vero e proprio cambio d’epoca. E qui, guardate, l’uso frequente di alcune espressioni a volte rischia di farne perdere il senso: il cambio di un’epoca investe ogni livello della vita dell’uomo, quello religioso, quella sociale, quella politico. Significa misurarsi con sfide inimmaginabili, senza poter ricorrere a esperienze sperimentate, e quindi rassicuranti. Cambio di epoca, per chi ha ruoli di guida, vuol dire mettere in conto incertezze, inciampi, assunzioni di responsabilità più difficili del consueto.
Papa Francesco si è caricato di queste responsabilità e ci ha indicato alcune cose essenziali a cui dobbiamo restare agganciati: il valore infinito della persona, il principio di realtà, il coraggio.
Tentare di essere all’altezza di questo insegnamento è il nostro modo di dire grazie a questo straordinario uomo e Pontefice, che ora è tornato alla Casa del Padre, certo, ma continuerà a sorriderci e a guidarci.
A Dio, Papa Francesco.