AgenPress – “Buona domenica a tutti! Buona domenica a tutti! Grazie tante!”. Sono le parole pronunciate dal Papa, apparso a sorpresa sul sagrato di piazza San Pietro al termine della messa per il Giubileo degli ammalati, presieduta da mons. Rino Fisichella, che poco prima aveva letto l’omelia preparata proprio dal Santo Padre per l’occasione. In sedia a rotelle e con le cannule nasali, Papa Francesco – accompagnato dal suo infermiere personale, Massimiliano Strappetti – ha percorso il tratto che lo separava dalla postazione al centro del palco.
“La malattia è una delle prove più difficili e dure della vita, in cui tocchiamo con mano quanto siamo fragili”, e può farci sentire “come il popolo in esilio, o come la donna del Vangelo: privi di speranza per il futuro. Ma non è così”.
“Essa può arrivare a farci sentire come il popolo in esilio, o come la donna del Vangelo: privi di speranza per il futuro. Ma non è così. Anche in questi momenti, Dio non ci lascia soli e, se ci abbandoniamo a Lui, proprio là dove le nostre forze vengono meno, possiamo sperimentare la consolazione della sua presenza”.
Malato tra i malati, il Santo Padre ci ha tenuto a condividere con questo gesto l’appuntamento giubilare che più si riferisce alla sua attuale condizione di convalescente, dopo il lungo ricovero al Policlinico Gemelli per una polmonite bilaterale.
“Con questi racconti drammatici e commoventi, la liturgia ci invita oggi a rinnovare, nel cammino Quaresimale, la fiducia in Dio, che è sempre presente vicino a noi per salvarci”, ha aggiunto Papa Francesco commentando le letture del giorno: “Non c’è esilio, né violenza, né peccato, né alcun’altra realtà della vita che possa impedirgli di stare alla nostra porta e di bussare, pronto ad entrare non appena glielo permettiamo (cfr Ap 3,20)”. Anzi, “specialmente quando le prove si fanno più dure, la sua grazia e il suo amore ci stringono ancora più forte per risollevarci”.
Anche in questi momenti, Dio non ci lascia soli e, se ci abbandoniamo a Lui, proprio là dove le nostre forze vengono meno, possiamo sperimentare la consolazione della sua presenza.
“Perciò a Lui possiamo dire e affidare il nostro dolore, sicuri di trovare compassione, vicinanza e tenerezza”. “Permettete che la presenza dei malati entri come un dono nella vostra esistenza, per guarire il vostro cuore, purificandolo da tutto ciò che non è carità e riscaldandolo con il fuoco ardente e dolce della compassione”, le parole rivolte ai medici. “Con voi, poi, carissimi fratelli e sorelle malati, in questo momento della mia vita condivido molto: l’esperienza dell’infermità, di sentirci deboli, di dipendere dagli altri in tante cose, di aver bisogno di sostegno”, quelle indirizzate ai malati: “Non è sempre facile, però è una scuola in cui impariamo ogni giorno ad amare e a lasciarci amare, senza pretendere e senza respingere, senza rimpiangere e senza disperare, grati a Dio e ai fratelli per il bene che riceviamo, abbandonati e fiduciosi per quello che ancora deve venire”.
“Egli stesso, fatto uomo – aggiunge -, ha voluto condividere in tutto la nostra debolezza (cfr Fil 2,6-8) e sa bene che cos’è il patire (cfr Is 53,3). Perciò a Lui possiamo dire e affidare il nostro dolore, sicuri di trovare compassione, vicinanza e tenerezza”. “Ma non solo – ha detto ancora. Nel suo amore fiducioso, infatti, Egli ci coinvolge perché possiamo diventare a nostra volta, gli uni per gli altri, ‘angeli’, messaggeri della sua presenza, al punto che spesso, sia per chi soffre sia per chi assiste, il letto di un malato si può trasformare in un ‘luogo santo’ di salvezza e di redenzione”.
Nel concludere il testo della sua omelia, Papa ricorda che il predecessore Benedetto XVI, “che ci ha dato una bellissima testimonianza di serenità nel tempo della sua malattia” ha scritto, nella sua enciclica Spe salvi, che “la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza” e che “una società che non riesce ad accettare i sofferenti è una società crudele e disumana”. Perché “affrontare insieme la sofferenza ci rende più umani e condividere il dolore è una tappa importante di ogni cammino di santità”.
“Carissimi, non releghiamo chi è fragile lontano dalla nostra vita, come purtroppo oggi a volte fa un certo tipo di mentalità, non ostracizziamo il dolore dai nostri ambienti.
E’ invece un’occasione per crescere insieme, “per coltivare la speranza grazie all’amore che per primo Dio ha riversato nei nostri cuori” e che “è ciò che rimane per sempre”.