Marco Perissa Vicepresidente Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sul degrado delle città e delle periferie all’Italian Investment Council 2025 by Remind

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AgenPress. Si sono conclusi il 27 febbraio 2025 i tavoli di approfondimento di “Italian Investment Council 2025” by Remind – l’Associazione delle Buone Pratiche dei Settori Produttivi Italiani – un’importante occasione di confronto tra Pubblico e Privato per promuovere le eccellenze del Made in Italy all’estero, analizzare le sfide e le opportunità legate agli investimenti e allo sviluppo economico sostenibile, sociale e culturale.

Esperti, Imprenditori, Manager, Professionisti Partner di Remind che hanno messo a disposizione esperienze e competenze per delineare insieme alle Istituzioni internazionali, nazionali e locali le Politiche industriali per la crescita dell’Italia, per la sicurezza e il benessere delle persone dove vivono, operano e transitano.

Tra i partecipanti Marco Perissa, Vicepresidente Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulle codizioni di sicurezza e sul degrado delle città e delle periferie che ha cosi dichiarato: “Quando si parla di periferie, qui ci sono persone che hanno dedicato davvero parte della loro vita a prendersi cura di questi luoghi. Intanto, lancio un appello anche agli amici che hanno parlato prima di me.

Io ho smesso da un po’ di chiamarle “periferie” e ho iniziato a chiamarle “quartieri”. Questo per un principio semantico, perché nella lingua comune alla parola periferia vengono spesso associate solo cose negative. Questo ci fa dimenticare troppo spesso quanto di positivo ci sia all’interno di quei quartieri — come li chiamo io — in termini di solidarietà umana, spirito sociale, condivisione e, spesso, anche di creatività e spirito di iniziativa. Come si diceva dalle mie parti, “è la fame che fa il cervello”, o che fa l’ingegno.

In realtà, noi viviamo in un’epoca che ci ha insegnato che il concetto di periferia, che inizialmente si riferiva a un dato geografico, è profondamente cambiato. Oggi, molte delle nostre città vivono quella definizione che, nel linguaggio comune, viene attribuita alla periferia anche nelle zone centrali. Pensiamo, per esempio, alla stazione di Milano o anche ai quartieri di semicentro delle grandi metropoli, su cui, ovviamente, prefettura e questura stanno facendo un eccezionale lavoro di protezione e monitoraggio, ma che vivono le stesse dinamiche, come ha detto prima il prefetto, di spaccio che vivono i quartieri periferici.

Per questo, ho cancellato dal mio vocabolario il termine “periferie”, sperando che questa visione possa diventare una contaminazione virtuosa nel linguaggio politico, sostituendolo con il termine “quartieri”. I quartieri — semicentrali, centrali o più lontani dalle zone centrali delle città — sono accomunati, fondamentalmente, da alcune forme di difficoltà e disagio sociale.

Questo ci dà anche una misura di quanto sia stato necessario che il governo, che vedo qui rappresentato dal viceministro Bellucci, abbia portato un elemento di innovazione nelle politiche sociali. Per tantissimo tempo, dal dopoguerra a oggi, le istituzioni si sono accontentate di definire il welfare e il rapporto con il mondo delle periferie — o comunque con la povertà economica — come la necessità di garantire la copertura del costo d’accesso a un diritto.

È chiaro, questo è matematico. Se un cittadino ha 20 e ha bisogno di 100 per definire buona la propria qualità della vita, le istituzioni devono cercare di mettergli a disposizione l’80 che gli manca. Però, come il tempo e lo spazio ci hanno insegnato, non tutti i cittadini hanno 20: qualcuno ha 40, qualcun altro ha 30. Questo già ci obbliga a riflettere non solo sul principio di equità sociale, ma anche su quello di giustizia sociale: cioè, dare ciò che è giusto dare, non in modo equo, ma in modo giusto.

Amartya Sen, inoltre, ci dice anche che la definizione di benessere non può essere ridotta solo al concetto di PIL, sia personale che dello Stato. Introducendo una differenza molto importante tra libertà formale e libertà sostanziale, Sen ci spiega che un conto è la libertà formale, quella definita dalla Costituzione o dai diritti garantiti da norme giuridiche. Un altro conto è la libertà sostanziale, che è la capacità concreta di accedere a quei diritti. Una delle barriere d’accesso ai diritti garantiti è lo stato economico delle famiglie e degli individui.

Ma visto che qui parliamo anche e soprattutto di collaborazione tra pubblico e privato, oggi, nelle grandi aree metropolitane, molte delle barriere d’accesso ai diritti fondamentali derivano da ciò che, a mio avviso, vengono erroneamente considerati “strumenti minori”, come la mobilità, il decoro e la sicurezza.”

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