Con questo contributo Costantino Del Riccio, Presidente del Comitato consultivo della Fondazione Insigniti OMRI per la Comunicazione Istituzionale già dirigente del Quirinale, esplora il significativo rapporto tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, evidenziando le visite dei Presidenti della Repubblica in Vaticano, le relazioni istituzionali e il dialogo tra Stato e Chiesa, con particolare attenzione al Giubileo
AgenPress. Con l’imminente apertura del Giubileo, fissata per il 24 dicembre, riaffiora l’importanza delle relazioni tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede. Questo evento, carico di significato religioso e sociale, non solo celebra la fede, ma rappresenta anche un momento di incontro e riflessione tra istituzioni che condividono una storia complessa e interessi comuni.
Sin dalla nascita della Repubblica nel 1946, i legami con la Santa Sede si sono sviluppati nel segno della stabilità e del rispetto reciproco. Ogni nuovo mandato presidenziale si apre con una visita del Presidente della Repubblica al Pontefice.
L’incontro tra Enrico De Nicola e Pio XII nel 1946 fu un esempio significativo di questa relazione. De Nicola, consapevole del significato simbolico del suo ruolo, si presentò al Pontefice senza indossare le onorificenze della Casa Savoia, un gesto di rispetto e di rinnovamento istituzionale. Tema centrale della discussione fu la richiesta vaticana di inserire i Patti Lateranensi nella nuova Costituzione repubblicana, una questione carica di significato politico in un’Italia che stava cercando la propria identità post-bellica.
Nel 1948, il Presidente Luigi Einaudi effettuò una visita ufficiale alla Santa Sede, incontrando Pio XII. La partecipazione di Einaudi e di sua moglie Ida alle celebrazioni del Giubileo, nella notte di Natale del 1949, dimostrò come la dimensione religiosa fosse parte integrante della vita pubblica.
Giovanni Gronchi, Presidente dal 1955 e fervente cattolico, si trovò al centro di polemiche quando si inginocchiò davanti a Pio XII per ricevere la benedizione. Molti osservatori sollevarono interrogativi sull’opportunità di manifestare esplicitamente la propria fede, rischiando di alterare l’equilibrio tra la laicità dello Stato e l’autorità ecclesiastica.
Nel 1959, per il trentennale dei Patti Lateranensi, Gronchi si inginocchiò nuovamente davanti a Giovanni XXIII, che, sorpreso, scherzò dicendo: “Non faccia così, Presidente, in fondo ci chiamiamo Giovanni tutti e due”.
Tre anni dopo, il Presidente Antonio Segni adottò un atteggiamento più cauto, evitando di inginocchiarsi per non riaccendere le polemiche che avevano circondato il gesto del suo predecessore.
Nel 1963, la sensibilità istituzionale di Segni si manifestò ridimensionando i festeggiamenti per la Festa della Repubblica a causa dell’aggravarsi delle condizioni di Giovanni XXIII, che morì il 3 giugno.
Giuseppe Saragat, eletto Presidente nel 1964, pur non essendo cattolico praticante, mostrò interesse per le questioni religiose. Come Segretario del partito socialdemocratico, apprezzò l’enciclica Mater et Magistra di Giovanni XXIII. Nel 1965, divenne il primo Presidente a pronunciare un discorso davanti a Paolo VI, rompendo la consuetudine protocollare che prevedeva unicamente l’allocuzione pontificia.
Tuttavia, nel 1970, la sua firma sulla legge che introdusse il divorzio in Italia generò tensioni con la Chiesa.
La Presidenza di Giovanni Leone fu segnata da un clima di disaccordo con la Santa Sede. La legge sul divorzio fu definita dal Pontefice un “atto politico infelicissimo”; anche il tentativo di dialogo con il Partito Comunista e la proposta di depenalizzazione dell’aborto generarono incomprensioni con la Conferenza Episcopale Italiana. Nonostante ciò, Leone mantenne un dialogo aperto con il Vaticano.
Durante la visita del 1975, il Presidente attraversò la Porta Santa del Giubileo insieme alla famiglia. L’ultimo incontro con Paolo VI avvenne ai funerali di Aldo Moro nel maggio 1978. Tre mesi dopo, il Pontefice morì, mentre Giovanni Leone si dimise, travolto dallo scandalo Lockheed.
Nel 1978, si instaurò un profondo rapporto tra il Presidente Sandro Pertini e Giovanni Paolo II, Papa non italiano dopo sei secoli. Questa forte affinità si manifestò anche in momenti critici, come dopo l’attentato al Pontefice nel 1981, quando Pertini si recò in ospedale più volte.
I loro incontri avvennero in contesti informali, come le colazioni a Castelporziano e una giornata trascorsa sul ghiacciaio dell’Adamello, dove pranzarono con gli “strozzapreti”.
Nel 1984, in occasione della firma della revisione del Concordato, Pertini ricordò il ruolo della Chiesa nella Resistenza e come questo avesse contribuito a superare le divisioni del passato. Il Presidente mantenne sempre uno stile colloquiale, chiamando Giovanni Paolo II “il mio amico Wojtyla”.
Francesco Cossiga, Presidente dal 1985, era un cattolico devoto e mostrò fin da subito il suo profondo legame con la fede. Il giorno successivo alla sua elezione, partecipò a una messa celebrata da Giovanni Paolo II e tornò in Vaticano il 4 ottobre, festa di San Francesco.
Nel discorso d’insediamento, presentò le relazioni tra Italia e Santa Sede come un modello di dialogo. L’ultima visita in Vaticano avvenne il 27 aprile 1992, ma Cossiga mantenne un solido legame con Giovanni Paolo II e il cardinale Joseph Ratzinger, futuro Papa Benedetto XVI.
Nel 1992, Oscar Luigi Scalfaro, considerato il più cattolico tra i Presidenti, portò al centro del dibattito il tema della laicità dello Stato. In un incontro con Giovanni Paolo II, dichiarò: “Lo Stato è laico” e deve essere una casa aperta a tutti, senza imposizioni di fede.
Nel 1999, Carlo Azeglio Ciampi divenne Presidente, incarnando una visione laica attenta alle sensibilità religiose. La sua amicizia con Giovanni Paolo II fu sincera e informale.
Anche la moglie del Presidente, Franca, contribuì a questo rapporto speciale con il Pontefice. La notte di Natale del 1999, Ciampi partecipò all’apertura della Porta Santa, un evento che Giovanni Paolo II volle battezzare come il “Grande Giubileo” del 2000.
Il Presidente Giorgio Napolitano, eletto nel 2006, sviluppò un profondo rapporto con Benedetto XVI, fondato su un dialogo frequente e una comune attenzione a temi come pace, giustizia e ambiente.
L’elezione di Sergio Mattarella nel 2015 segnò il ritorno di un esponente del cattolicesimo democratico al Quirinale. Mattarella partecipò alle cerimonie di apertura e chiusura del Giubileo straordinario della misericordia, condividendo valori con Papa Francesco come la dignità della persona e l’impegno per risolvere le crisi internazionali.