AgenPress. “Adesso lo so. Lo so con certezza assoluta. So che morirò con un libro in mano. Sarà la mia estrema unzione”. Così è stato. Per Franco Ferrarotti. Scomparso il 13 novembre. Un maestro delle Culture. Dalla sociologia alla filosofia la cui formazione nasceva proprio dalla funzione del “fenomeno”.
Uno scavo nella filosofia delle civiltà che noi chiamiamo società in una visione in cui l’antropologia ha sempre avuto una funzione basilare. Ma è stato realmente il costruttore di una sociologia che non partiva da sovrastrutture o da una logica della prassi. Bensì dalla centralità dell’uomo che ha bisogno di confrontarsi con il religioso che i popoli esprimono.
Inventore di un modello umanistico della sociologia e mai da formule ideologiche che si spiegano ancora sotto le leggi delle economie. Una sociologia dell’umanesimo che voleva dare importanza al soggetto e a una fenomenologia dell’umano. Le società sono eredità di civiltà che scavano nel tempo per comprendere il presente.
Gli ultimi suoi libri pubblicati dal prestigioso editore Solfanelli hanno posto in evidenza la conoscenza delle appartenenze. Si pensi proprio al suo libro dialogante con Cesare Pavese con il quale intrattenne un singolare legame. Lesse Pavese non solo con la passione dell’affetto ma anche con la capacità di interpretare l’opera letteraria. Fondamentale il suo libro in cui parla della sua famiglia come essenza antropologica dell’amore.
Certo, usò un pensare sperimentale in sociologia ma negli anni Cinquanta ebbe il coraggio di introdurre la lettura delle società non attraverso l’oggetto ma attraverso una griglia in cui il soggetto occupava un campo anche metafisico. Si pensi ai suoi lavori in cui si sottolinea senza alcun cattedratico: “L’equazione personale tocca e può influenzare il processo vivo della ricerca e le sue risultanze.
Il fatto è che, quando il sociologo studia la società, egli studia in realtà se stesso perché è parte della società”. I suoi scritti su Max Weber pongono all’attenzione il concetto di ragione nella storia la cui vera essenza però si trova nel tempo. O ai sui scritti sul sacro come “Paradossi del sacro” con la precisa differenza tra religioso e sacro. Come pure ai suoi scritti sulla verità tra società e utopia. In ciò si interezza “L’arte nella società”, Chieti, Solfanelli, 2005.
Testo fondamentale in più edizioni che lo proietta proprio nella dialettica moderna del valore dell’arte tra finzione, fantasia e mistero. Sino a cinque anni dopo con il lavoro: “L’immaginario collettivo americano”, Chieti, Solfanelli, 2010. Così come un altro punto di riferimento che è ancora: “La religione dissacrante. Coscienza e utopia nell’epoca della crisi”, Chieti, Solfanelli, 2013. Questo resta uno dei testi basilari dei suoi ultimi anni. Intreccia filosofia e decadenza dell’uomo moderno. E per tale sì identificano le società della modernità. L’annientamento delle società sono nei feticci che producono tra la parola e l’immagine le macerie e le rovine. Scrisse su Olivetti e su Puccini tra musica e società. Il catalogo Solfanelli editore è un monumento dei suoi libri e ha ben fatto la casa editrice a pubblicare la sua ricca e articolata missione di scrittore a tutto tondo. Franco Ferrarotti era nato a Palazzolo Vercellese il 7 aprile 1926. Ci lascia un maestro.
Pierfranco Bruni