Kafka, Camus e Sgalambro in una metafisica oltre il relativo

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AgenPress. Cosa è il relativismo nella filosofia del tragico? Non può resistere. Il tragico non è relativo e tanto meno fenomelogico. È una condizione dell’essere. Nietzsche vive il tragico nel teatro della vita e diventa condizione di una esistenza.
A Nietzsche fanno comunque riferimento tre epicentri che giocano tra filosofia e letteratura. Kafka, Camus e Sgalambro. A questi si potrebbe legati Guido Ceronetti. Ma con Ceronetti siamo ai limiti di una discussione teologica se pur eretica.
L’enigma, l’assurdo, le macerie sono tre punti di riferimento che trovano nelle rovine di Cioran l’abisso. Nulla dunque di relativo. Piuttosto di assoluto.
Non fu una filosofia in rivolta. Fu la rivolta della filosofia. L’assurdo è nella vita e ogni tocco di luna raccontò una caduta reale nel dritto e il rovescio.
Camus è dentro la rivolta. Mai relativismo. Come sarà in quella linea che va da Kafka a Sgalambro. Mai relatività in Sgalambro.
La verità è il dubbio. Se la verità non si ponesse la questione del dubbio il resto sarebbe tutto relativo. Camus e Sgalambro sono tra le macerie e le rovine e Kafka è un abisso.
Camus è un destino esistenziale tra l’esilio e l’estremità dello straniero che è in noi. In solitudine d’esilio di Camus c’è la tragica verità di Kafka. Di entrambi Sgalambro ha scavato nella misantropia servendosi della consolazione e scardinando il relativo, ovvero il relativismo.
Piuttosto Kant che Hegel. Ma credo che entrambi vengono superati da Schopenhauer. Di quello di cui si impossessa però Nietzsche. Più volte, in questo caso, ho sostenuto che Anatol si potrebbe dare la mano con Zarathustra.
D’altronde Siddharta è in Sgalambro. Personaggi e miti che provengono da radici occidentali e orientali. Ma è proprio questo il mondo di Sgalambro. L’Oriente è anche nei Mediterranei. In fondo lo stesso Kafka nonostante le sue radici trova nei suoi viaggi in Italia il senso di una appartenenza profonda. Anche per questo è studiato sia da Camus che da Sgalambro.
Il mito è anche enigmaticità. Il relativo non ha nulla a che fare con il mito, con gli dei, con la caverna. Una filosofia o una letteratura che parte solo da Platone senza Agostino è incompleta. Maria Zambrano che è molto vicina a Camus non è lontana da Sgalambro.
Abitare la metafisica è la completezza. Il termine scardinare il relativo è centrale.
Dentro la visione del tempo c’è il tutto che si definisce nel passaggio inevitabile delle età con le quali fanno i conti gli autori qui citati. Non si tratta dunque né di relativismo e neppure di fenomenologia ma di una centralità che si definisce tra l’uomo e Dio.
L’estraneità di Camus è la verità di Kafka ma è altresì quella misantropia di Sgalambro.
Per tutti la vita dell’assurdo è un viaggiare verso l’isola e dentro l’isola. In fondo c’è una dimensione omerica che si chiude e si apre con la cecità. Cosa sarà mai?
Pierfranco Bruni
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