AgenPress. Il Consiglio europeo tornerà ad occuparsi di come rafforzare la competitività europea, e l’Italia ha una posizione molto chiara su questa materia. Non intendo dilungarmi su questo, ma credo sia opportuno ribadire alcuni punti.
L’approccio ideologico che ha accompagnato la nascita e ha sostenuto finora lo sviluppo del Green Deal europeo ha creato effetti disastrosi. È una posizione che noi abbiamo sostenuto fin dall’inizio, spesso in splendida solitudine, e che oggi, finalmente, è diventata invece patrimonio comune. Perché non è vero che per difendere l’ambiente e la natura l’unica strada percorribile sia quella tracciata da una minoranza palesemente ideologizzata.
Anche i più convinti e integralisti sostenitori di questo approccio si sono resi conto che non ha alcun senso distruggere migliaia di posti di lavoro, smantellare interi segmenti industriali che producono ricchezza e occupazione e condannarsi a nuove dipendenze strategiche, per perseguire obiettivi impossibili da raggiungere. Come ho detto mille volte, inseguire la decarbonizzazione al prezzo della deindustrializzazione è, semplicemente, un suicidio. Non c’è nulla di verde in un deserto, e nessuna transizione verde, alla quale guardiamo con favore, è possibile in una economia in ginocchio.
L’addio al motore endotermico entro il 2035, cioè in poco più di un decennio, è uno degli esempi più evidenti di questo approccio sbagliato. Si è scelta la conversione forzata ad una sola tecnologia, l’elettrico, di cui però noi non deteniamo le materie prime, non controlliamo le catene del valore, che ha una domanda relativamente bassa e prezzi proibitivi per gran parte dei nostri concittadini. Insomma, una follia per la quale le nostre economie stanno pagando pesanti conseguenze, in termini di ricchezza, occupazione, forza produttiva e, appunto, competitività.
Lo stiamo vedendo in Italia, ma anche in quelle economie considerate per antonomasia talmente solide da resistere ad ogni evoluzione.
Per queste ragioni non ci siamo affatto stupiti della richiesta portata avanti dalla principale associazione che riunisce i produttori del settore automobilistico di anticipare al 2025 la revisione degli obiettivi legati allo stop al motore endotermico. Non poteva essere una sorpresa per chi come noi fin dal primo giorno ha lavorato per rendere gli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti compatibili con la sostenibilità economica delle nostre filiere.
Si deve avere il coraggio di riaprire la partita, e di perseguire, al contempo, la strada della neutralità tecnologica, sostenendo anche quelle tecnologie e quelle filiere – come i biocarburanti – nelle quali l’Italia e l’Europa possono giocare un ruolo da protagonisti.
Allo stesso modo, però, è necessario porsi il tema di come finanziare gli investimenti verso un automotive più pulito, di come sostenere l’innovazione, di come garantire una sempre maggiore autonomia strategica, costruendo catene del valore europee per non consegnarci a nuove, pericolose, dipendenze.
Proprio in questa direzione va il non-paper presentato dal Ministro Urso ai colleghi degli altri ventisei Stati membri che servirà come base di discussione per ampliare il consenso intorno alla nostra posizione, ispirata al buon senso e al pragmatismo, senza alcuno spazio per gli approcci ideologici.