Tassone: “La Riforma Calderoli è la secessione che speriamo venga bocciata con il Referendum”

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AgenPress. Don Luigi Sturzo aveva sostenuto sin dagli anni venti la essenzialità del ruolo delle autonomie locali e l’introduzione delle regioni per garantire spazi sostanziali alla partecipazione democratica. La “Rerum Novarum” aveva dischiuso orizzonti nuovi di sviluppo e giustizia sociale.
Il disegno sturziano dei primi anni del secolo scorso, interrotto dalla dittatura, ha trovato riconoscimento nella Costituzione. Il ruolo delle autonomie locali e il regionalismo con poteri legislativi non fu una soluzione tecnica burocratica, ma un formidabile strumento politico per rendere vera la partecipazione dei cittadini, allargare gli spazi della democrazia, dei diritti e della giustizia.
Con le regioni si intendeva superare il centralismo statale in una visione solidaristica e non creando nuovi centralismi localistici. Per la nascita delle regioni si dovette attendere il 1970.
Il dibattito in Parlamento e nel Paese nella fase di approvazione della legge di attuazione non fu indolore. Una realtà non esigua paventava un vulnus per l’Unità del Paese.
I primi passi non furono facili. Ci fu un agire per accrescere i poteri delle regioni seguendo suggestioni gestionali amministrative, dando scarso spazio alle prerogative legislative: la grande innovazione. Le modifiche successive delle leggi elettorali con l’introduzione della elezione diretta del presidente, come avviene per i comuni, tarparono le prerogative dei Consigli ridotti ad organi di seconda importanza.
Il potere tutto al presidente. Se il presidente è sfiduciato o va via per svariati motivi decade il Consiglio. Una figura padronale, dunque, quella del presidente della giunta che tutti chiamano governatore, appellativo non previsto dalla legge ma suggerito dal potere esclusivo.
Tutto questo condiziona il confronto, il controllo, la dialettica democratica, il formarsi di soluzioni alternative difronte a palesi insufficienze politiche. Nessuno osa rimuovere il “governatore” per evitare “il tutti a casa” dei consiglieri. E’ la paralisi della democrazia.
Ovviamente lo stesso accade nei Comuni.
In tutti questi anni le speranze di un regionalismo, che avvicinasse i cittadini alle istituzioni sono state frustrate. La Riforma Calderoli è la secessione che speriamo, venga, bocciata con il Referendum.
Dopo va  recuperato il fervore antico di un regionalismo liberatorio di sovrastrutture burocratiche pesanti. Bisogna precisare il ruolo delle regioni modificando il titolo V della Costituzione introdotto nel 2001 dalla sinistra con  una intesa innaturale con la Lega. Bisogna rivedere la legge che regola la elezione degli organismi regionali, salvaguardando  la continuità del Consiglio anche se il presidente viene sfiduciato o se ne va per qualsiasi motivo.
Il Veneto, la Lombardia stanno chiedendo il riconoscimento di alcune competenze come la concessione dei passaporti, la protezione civile, rapporti con l’Estero prima dei LEP che non hanno copertura (100 miliardi traguardo lontano).
Bisogna ritrovare in armonia, con la volontà dei padri costituenti, il valore della partecipazione dei cittadini, dell’unità e della solidarietà.
Il Sud deve abbandonare gli antichi piagnistei, un comodo atteggiamento vittimistico per porsi, invece, interrogativi su indolenze, ritardi, inadeguatezze e inaccettabili comportamenti privatistici.
Ci vuole nel Paese una classe dirigente che si formi con il coinvolgimento dei cittadini.
Ma senza politica non c’è prospettiva. Senza la sacralità delle istituzioni e i partiti veri, tutto è incerto.
Questa sarà la sfida per quei tanti che hanno fede nella centralità dell’Uomo nel divenire dove i protagonisti siano i cittadini e non i capi ricchi di scorte e cortigiani.
Mario Tassone (ex deputato della Repubblica Italiana – già vice Ministro)
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