AgenPress – Si è tenuta davanti al gup di Milano Tiziana Gueli l’udienza preliminare con al centro una delle tranche del caso Visibilia, che vede accusati di truffa aggravata all’Inps sulla cassa integrazione nel periodo Covid la ministra del Turismo Daniela Santanchè e altre due persone, tra cui il compagno Dimitri Kunz, e due società. La ministra non è presente in aula.
Per i pm, Visibilia Editore e Visibilia Concessionaria – società del gruppo fondato dalla senatrice di FdI – hanno chiesto e ottenuto la cassa integrazione in deroga nel periodo della pandemia Covid per 13 dipendenti per 126mila euro, ma questi ultimi in realtà lavoravano.
Durante l’udienza preliminare l’Inps, con l’avvocato Aldo Tagliente, ha chiesto di costituirsi parte civile per gli eventuali danni.
Secondo la ricostruzione, l’allora parlamentare di Fratelli d’Italia, Kunz e Paolo Giuseppe Concordia, collaboratore esterno con funzioni di gestione del personale di Visibilia Editore e Visibilia Concessionaria – società del gruppo fondato dalla politica e dal quale nel 2022 è uscita – sarebbero stati consapevoli di aver richiesto e ottenuto “indebitamente” la cassa integrazione in deroga “a sostegno delle imprese colpite dagli effetti” della pandemia per i 13 dipendenti. Le cui testimonianze, oltre agli esiti di una ispezione Inps e a una serie di accertamenti, sono state raccolte nel corso delle indagini: tutti, o quasi, avrebbero confermato che la ministra sapeva. Sarebbe stata a conoscenza del fatto che stavano continuando a lavorare mentre l’istituto previdenziale versava i fondi stanziati durante l’emergenza: oltre 126mila euro, per un totale di oltre 20mila ore.
A Santanché, così come agli altri due, viene quindi addebitato di aver “dichiarato falsamente” che quei dipendenti fossero in cassa “a zero ore”, quando invece svolgevano le “proprie mansioni” in “smart working”. Nel mirino ci sono pure le integrazioni che sarebbero state date per compensare le minori entrate della Cig rispetto allo stipendio: una “differenza”, scrivono i pm, che sarebbe stata corrisposta con “finti rimborsi per ‘note spese e spese di viaggio'”.