AgenPress. È trascorso un anno da quel maledetto 7 ottobre. Di fronte a quel pogrom pianificato contro donne, uomini e bambini indifesi, colpevoli solo di essere ebrei o di trovarsi sul territorio israeliano, l’opinione pubblica mondiale si schierò dalla parte giusta, dalla parte degli aggrediti, al fianco di Israele.
A tutti sembrò chiaro che condannare quella carneficina, difendere gli israeliani da quell’attacco, significava difendere la civiltà dalla barbarie, la vita dalla morte e respingere con forza il riaffacciarsi prepotente nella storia dell’indicibile orrore della Shoah.
In questi dodici mesi molte cose sono cambiate, oggi gran parte dell’opinione pubblica pare seguire con una certa stanchezza l’evoluzione del conflitto e un’inaccettabile cappa di silenzio è calata sulle ragioni di Israele in buona parte del mondo occidentale. Una cortina di bugie, ambiguità e di delegittimazione che lascia spazio, purtroppo, a vecchi e nuovi stereotipi. Inaccettabile mettere sullo stesso piano Hamas con Israele, non una parola sugli stupri subiti dalle donne e poi manifestazioni, come quella di sabato scorso a Roma, in cui si riversano altra violenza e odio contro Israele.
Tutto questo non è comprensibile né accettabile. Di fronte a rigurgiti di antisemitismo sempre più diffusi, ciò su cui deve interrogarsi l’Occidente è perché stiamo normalizzando, poco a poco, tutto questo. Per paura? Per Inerzia, indifferenza o cosa?
Serve un cambio di rotta, uno sforzo collettivo e una battaglia innanzitutto culturale che investa le scelte quotidiane di ognuno di noi, a partire da quelle delle giovani generazioni.
E’ quanto dichiara, in una nota, Mariastella Gelmini.