Circa 40 casi nel Lazio. Il prof. Breccia: “E’ una malattia rara e subdola, ma l’uso appropriato delle cure può ridurre la splenomegalia ed un nuovo farmaco interviene sull’anemia”
AgenPress. Si presenta in maniera subdola: nelle forme conclamate con febbre, stanchezza, debolezza, dolori alle ossa, perdita di peso, sudorazione notturna, prurito, che non hanno un’apparente giustificazione. Al contrario nelle forme iniziali può essere completamente asintomatica e rilevata soltanto da esami del sangue. La mielofibrosi è un tumore particolarmente aggressivo del midollo osseo. È una malattia rara e nel Lazio – pur non esistendo un registro specifico – possiamo ipotizzare colpisca circa 40 persone all’anno, a fronte di un’incidenza in Italia di circa 350 nuove diagnosi.
Ad oggi il trapianto di midollo osseo allogenico è l’unica procedura che può portare alla guarigione, ma è indicata solo nel 10-15% dei pazienti mantenendo un elevato rischio di mortalità. In alcuni centri ematologici di riferimento italiani, tra cui quello del Policlinico Umberto I di Roma, è invece già disponibile un nuovo farmaco, il momelotinib, che è un’alternativa valida quando non si può fare il trapianto o per arrivare a tale procedura nelle migliori condizioni ed è in grado di migliorare anche i due sintomi piu invalidanti: la splenomegalia (ingrossamento della milza) e l’anemia.
Il farmaco è già autorizzato dall’Unione Europea, è in attesa di approvazione da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Ne abbiamo parlato con Massimo Breccia, professore di ematologia all’Università Sapienza di Roma.
“Da alcuni mesi stiamo usando questo nuovo farmaco messo a disposizione gratuitamente dall’azienda produttrice in attesa dell’autorizzazione italiana alla commercializzazione – spiega il prof. Breccia –. I trattamenti attualmente disponibili hanno un’efficacia limitata e, in molti casi, la mielofibrosi continua ad avere un impatto devastante sulla qualità della vita, specialmente a causa della necessità di frequenti trasfusioni di sangue e per gli effetti della splenomegalia”.
La mielofibrosi appartiene al gruppo delle malattie mieloproliferative croniche, che comprendono anche la policitemia vera e la trombocitemia essenziale. Nella mielofibrosi si verifica una graduale comparsa di tessuto fibroso, che modifica definitivamente la struttura del midollo osseo, non consentendone più il corretto funzionamento emopoietico, ossia la normale produzione delle cellule del sangue. Questo è causa di anemia e molti pazienti diventano “trasfusioni-dipendenti”.
“Oltre all’anemia, tra i problemi principali del paziente con mielofibrosi c’è la splenomegalia, l’ingrossamento della milza, che è responsabile di una serie di disturbi, soprattutto gastrointestinali – continua il prof. Breccia –. La milza ingrossata, infatti, comprime gli organi vicini, in particolare stomaco e intestino. Il paziente avverte difficoltà nella digestione, sensazioni di pesantezza allo stomaco, fastidio a livello dell’addome e sazietà anche dopo aver mangiato poco. In alcuni casi, la milza è così ingrossata da occupare gran parte dell’addome, fino a comprimere i polmoni, causando tosse secca e dolore alla spalla sinistra, e i reni”.
Nei casi più avanzati la malattia può rendere molto difficili le normali attività, come camminare, salire le scale, ordinare la casa, fare la doccia e cucinare. Nel 20% dei casi i pazienti hanno necessità di trasfusioni e si devono recare all’ospedale inizialmente una volta al mese, fino ad arrivare anche a 2 volte a settimana, perché nel tempo la malattia può progredire. A livello clinico le trasfusioni possono causare un accumulo di ferro nel cuore, nel pancreas, e nel fegato.
“I farmaci a disposizione, i Jak inibitori, riducono la splenomegalia e migliorano i sintomi sistemici, ma possono anche peggiorare l’anemia – sottolinea il prof. Breccia -. Il momelotinib, che appartiene sempre alla classe dei Jak inibitori, ma con un meccanismo d’azione diverso, è stato approvato in Europa per il paziente con mielofibrosi anemico. Questa molecola ha dimostrato di migliorare non solo la splenomegalia, ma anche l’anemia. Il nuovo farmaco, oltre a inibire Jak1 e Jak2, notoriamente coinvolti nella malattia, punta anche a un altro target, ACVR1. In questo modo aumenta i livelli di emoglobina, migliorando quindi anche i sintomi costituzionali, mantenendo l’azione sulla splenomegalia e sulle citopenie”.
In attesa che l’AIFA dia la sua approvazione ufficiale, il momelotinib è codificato come “Aid” (Patient assistance programm) e quindi è a disposizione “per uso compassionevole” dei pazienti con mielofibrosi e dei clinici che ne fanno richiesta. “Approvazione che aumenterebbe le chance di accesso al trattamento, riducendone i tempi di attesa”, conclude il prof. Beccia.