AgenPress. Le città i luoghi il paesaggio i personaggi le donne amate e immaginate vissute e definite in una impossibile vita da scrittore. Ci sono di mezzo le parole. Linguaggio in un immaginario profondo e indelebile. Il male oscuro permea il sorriso delle ironie ma gli amori restano per disegnare un cammino.
Giuseppe Berto, Giorgio Saviane, Camillo Boito. Tre scrittori in una Venezia che ha il fascino dell’Oriente. Giuseppe Berto, Cesare Pavese, Francesca Sanvitale. Tre scrittori che raccontando la Calabria attraversano il Mediterraneo e la grecità.
Lo scrittore Giuseppe Berto che racconta di città e di viaggi, di lingue e rapporti con i dialetti, di veneziani amori e di depressioni, di luoghi antichi e del suo rapporto con la cristianità è un punto di riferimento nel contesto del secondo novecento letterario italiano. I luoghi e il senso antropologico del linguaggio costituiscono una chiave di lettura fondamentale.
La Venezia di Berto è un attraversare non solo la memoria manniana, ma a questa memoria restano legati Giorgio Saviane e il Camillo Boito di “Senso”. Così la caratterizzazione del luogo come geografia e come metafisica sono dentro la grecità di Pavese della Sanvitale di “Verso Paola” e di Berto che ha fatto del Mediterraneo il sapere dell’anima.
La lingua e il linguaggio in Berto sono due caratteristiche fondamentali che pongono all’attenzione quel superamento del realismo che ha marcato gli anni Cinquanta. Superamento del realismo – naturalismo molto vibrante anche in Pavese. Pavese e Berto sono gli scrittori chiave del superamento del realismo verso un esistenzialismo della consapevolezza del dolore e del sottosuolo del tempo. Berto protagonista in una dialettica sulla rottura di schemi sperimentali. Su questo argomentare si è impostato tutta la mia interpretazione nell’affrontare, in diversi saggi, sia Berto che Pavese. Occorre sempre creare una comparazione tra i volti e gli occhi dei personaggi dei romanzi di Berto e di Pavese filtrandoli con lo sguardo di una figura simbolo che è quella di Beatrice da una parte e Fiammetta dall’altra. Le figure femminili centrale nella letteratura italiana.
L’intreccio tra il raccontare e il narrare la vita in Berto e in Pavese è un attraversare la lingua come un quotidiano confronto con il dato esistenziale. La letteratura bisogna considerarla, soprattutto in alcuni romanzi di questi due scrittori, con una chiave di lettura che deve avere necessariamente degli elementi antropologici. In Berto e in Pavese la figura di Beatrice e di Dante non è trascurabile e leggerlo con attenzione significa anche catturare questi elementi. Così Fiammetta è la Concia de “Il carcere” di Pavese che si propone come personaggio contrapposto ad Elena.
Nei miei scritti sul Pavese e Berto ho cercato di scavare tra i diversi personaggi dei romanzi, ma soprattutto ho impostato una metodologia letteraria che non è quella descrittiva. La rappresentazione del reale in entrambi gli scrittori non c’è. C’è la metafora che è ben altra cosa. Poi Berto e Pavese sono legati da una grecità profonda che soltanto in Calabria è possibile vivere. Pavese proveniente dalle Langhe ha riscoperto, confinato a Brancaleone
Calabro, la classicità mediterranea in Calabria dando significato al mito. Berto, lo scrittore della Laguna, nel mare calabro di Capo Vaticano, ha recuperato gli archetipi e i simboli che giungono con le onde e continuano a vivere tra gli scogli che permettono di osservare la terra di Pirandello.
La loro presenza nel contesto letterario è una forza notevole. Danno voce al simbolo in un mare, quello della Calabria, che fa parlare con il linguaggio del mito. Berto e Pavese sono una grecità non in infanzia ma vissuta. Non sono stati loro a scegliere. Sono stati scelti. In fondo per chiosare Pavese tutto è destino ma il tutto può anche scendere nel mito.
Pierfranco Bruni