Mattarella ad Aosta per le celebrazioni per l’80° anniversario della resistenza, della liberazione e dell’autonomia della Valle d’Aosta

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AgenPress. Il 1944, come nel resto d’Italia, fu un anno terribile in Val d’Aosta. Il movimento partigiano – guidato da figure prestigiose che sono state poc’anzi ricordate, come Emile Chanoux, martire della Resistenza – fondato sulle radici antifasciste coltivate negli anni precedenti, seppe svolgere un ruolo di grande importanza nel definire il futuro della “Petite Patrie” inserita nel più ampio destino d’Italia.

Oggi siamo qui per onorare il contributo che i valdostani seppero dare alla costruzione della Repubblica, fieri del loro apporto al Risorgimento e all’Unità d’Italia, sin dalla decisione unanime del Conseil Double della città di Aosta, nel 1849.

Venne allora dichiarato: “Questa provincia d’Aosta sarà sempre parte integrante della bella penisola italiana”.

Non valsero a mutare questo atteggiamento, questi sentimenti, decisioni infauste come la soppressione della Provincia operata dal governo Rattazzi nel 1859, con il declassamento a Circondario, né i tentativi del fascismo di operare, anche in queste terre, l’umiliazione della popolazione autoctona cercando di sottrarle cultura e identità.

È la storia a parlare: la Valle è sempre stata un elemento costitutivo del divenire d’Italia: era stata impegnata nelle lotte per il Risorgimento e nella Prima guerra mondiale. Un’esperienza unica nei territori e nelle popolazioni di frontiera.

La Valle ha saputo interpretate appieno i valori della gente di montagna, essendone, a un tempo, depositaria e crocevia di incontri e di scambi, come ha ricordato il Presidente Testolin.

Orgogliosa custode della propria autonomia, seppe farsi ascoltare nel pieno della lotta, sino ad ottenere dal Governo Bonomi l’impegno – solennemente annunciato il 16 dicembre 1944 dal Presidente del Consiglio in un messaggio  -, la garanzia dell’autonomia amministrativa e culturale, assieme all’espressione dell’elogio rivolto “ai Patrioti e a tutta la fedele popolazione della Val d’Aosta, per la lotta, intelligente, aspra, tenace e continua che, a prezzo di enormi sacrifici, conducono in difesa della libertà e dell’unità della Patria”.

La classe dirigente che si apprestava ad assumere responsabilità in Valle, aveva radici piantate solidamente nella Resistenza: Emile Chanoux, tra i fondatori della Jeune Vallé d’Aoste e, come ho ricordato, martire della libertà. Frederic Chabod, il partigiano Lazzaro, primo Presidente del Consiglio della Valle.

Duro il prezzo pagato dai partigiani e dalla popolazione civile; da soldati di origine valdostana trasferiti nei campi di internamento in Germania.

Un sacrificio che ha visto la Repubblica attribuire alla Val d’Aosta la Medaglia d’oro al Valor militare.

Memori della oppressione fascista, le genti valdostane si interrogarono su quale percorso fosse di migliore garanzia di un quadro di libertà entro cui la loro autonomia potesse esprimersi liberamente, nello spirito di quella Carta di Chivasso o Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine, che aveva visto esponenti delle cosiddette valli valdesi ed esponenti valdostani, nel dicembre 1943, progettare il futuro.

Nella Dichiarazione si denunciava il “ventennio di malgoverno livellatore e accentratore”, che aveva portato le valli all’oppressione politica, alla rovina economica, alla distruzione della cultura locale, e si rivendicava libertà di lingua e di culto, con un regime repubblicano su base regionale e cantonale. Non a caso, indica anche una prospettiva europea.

Si coglie qui come il sentimento che prevaleva era segnato anche dalla delusione verso Casa Savoia, alla quale la Valle si era sempre sentita vicina; e i risultati del referendum istituzionale del 1946 furono impietosi: 28 mila voti per la Repubblica, 16 mila per la Monarchia.

Nel frattempo, l’autonomia annunciata dal Presidente Bonomi aveva fatto strada.

Il 29 maggio 1945 veniva istituita una commissione presieduta dal Sottosegretario Luigi Chatrian, di origine valdostana, e, di lì a poco, l’11 luglio 1945, due decreti luogotenenziali definivano la nascita della circoscrizione autonoma della Valle d’Aosta e le norme economico – tributarie per sorreggerne l’attività.

Il 10 gennaio 1946 (appena nove giorni dopo la fine dell’amministrazione straordinaria degli Alleati), si insediava il primo Consiglio della Valle che elesse – come abbiamo poc’anzi visto – quale suo Presidente Federico Chabod.

In quella prima seduta furono ripristinati i toponimi dei Comuni, che erano stati distorti dal fascismo.

In parallelo, con il processo elettorale per l’Assemblea della Costituente, il Consiglio della Valle iniziava un lavoro diretto a dotarsi di uno Statuto che ne definisse compiutamente attività e modalità di funzionamento.

La popolazione valdostana, accanto al suo rappresentante alla Costituente, Giulio Bordon, eletto per le sinistre, e a Luigi Chatrian, il cui nome vi è stato già ricordato, eletto nel Collegio Unico Nazionale per la Democrazia Cristiana, avrebbe potuto contare sull’interlocuzione diretta espressa dal proprio Consiglio di Valle.

Potremmo dire che furono due processi che si affiancarono.

Il contributo valdostano, portato a termine dal nuovo Presidente, Severino Caveri, servì alla definizione dell’art. 116 della Costituzione con la previsione di condizioni particolari di autonomia per Sicilia, Sardegna, Val d’Aosta, Trentino-Aldo Adige.

Gli statuti di queste regioni – come è noto – vennero approvati con leggi costituzionali, nel gennaio 1948, appena prima della conclusione dei lavori dell’Assemblea costituente.

Senza rincorrere a garanzie internazionali, tentazione che pure si era affacciata nel dibattito pubblico – anzi, avendo assunto a suo tempo la responsabilità di invitare la Francia al ritiro delle proprie truppe che, a cavallo della Liberazione, avevano superato i confini fra i due Paesi – la Val d’Aosta intraprendeva così la via di una autonomia effettiva, capace di tutelare le differenze e le identità della propria popolazione, come testimoniava l’art.38 dello Statuto che, in merito alla lingua e all’ordinamento scolastico, affermava la parificazione della lingua francese a quella italiana.

Questione non secondaria stante il tentativo precedente fascista di imporre l’italiano come unica lingua.

Ebbene, di fronte a perplessità e a ostilità che si manifestavano in Assemblea su questa misura di parificazione, un intervento accorato dell’on. Chatrian, ricordò, nella discussione generale del 30 gennaio 1948, come la conoscenza e l’uso del francese costituissero un patrimonio, una ricchezza dei valdostani, sia di coloro che vivevano in valle, sia di coloro costretti a emigrare.

“Ciò – aggiungeva -non ha mai significato e non significa, che la val d’Aosta non sia italianissima e profondamente legata alla Patria italiana, come dimostrano tutte le pagine della sua storia”. Come dimostra “la lotta dei partigiani nella guerra di Liberazione…e come dimostra soprattutto il sacrificio degli alpini valdostani nella Prima guerra mondiale, in cui il battaglione alpini Aosta – il solo su 61 battaglioni alpini! –  ha ottenuto il massimo riconoscimento del valore: la Medaglia d’oro al Valor militare!”.

A dar man forte a queste parole si aggiunse con vigore Bordon.

Efficace fu l’intervento di Giuseppe Micheli, del gruppo della Democrazia cristiana. L’anziano parlamentare – Ministro della Marina mercantile nel secondo governo De Gasperi – rammentando che la questione della lingua non era stata posta per il Trentino-Aldo Adige – fece riferimento al dibattito avvenuto nel 1914, alla Camera, in ordine al finanziamento delle scuole di lingua francese nella Valle, per citare la “frase generosa” dell’on. Baccelli, già Ministro della Pubblica Istruzione, e grande personaggio, che ebbe a dire: “La Valle D’Aosta ha un dovere verso la lingua italiana e un diritto verso la lingua francese”.

Ancora maggior rilievo ebbe l’osservazione di Micheli circa il fatto che fosse consentito dallo Statuto Albertino “servirsi del francese ai membri (delle Camere) che appartengono ai paesi in cui questa è in uso, o in risposta ai medesimi”.  Per concludere: “Lo Statuto Albertino viene ora ad essere sostituito da questa Costituzione, che deve essere più larga di quella di allora. Noi non possiamo, creando nuove autonomie, far sì che questo Statuto, che viene a incardinarsi appunto nella Costituzione nuova, possa portare limitazione a un diritto che queste popolazioni hanno sempre avuto”.

Il principio che l’Assemblea Costituente affermava era esplicito: non potevano essere considerate straniere, in Italia, lingue parlate da cittadini italiani radicati sul suo territorio.

Non si era – e non si è – stranieri a casa propria, quale fosse – e quale sia – la propria lingua, cultura, religione.

Si trattava della diretta conseguenza dei principi fondamentali della nostra Costituzione. Lo rende esplicito l’art.3.

Ecco perché valorizzare le specificità delle comunità collocate alle frontiere dell’Italia ha arricchito i valori di convivenza della nostra civiltà.

Il tema della tutela delle minoranze linguistiche ha trovato collocazione all’art.6 della nostra Carta fondamentale.

Ne costituisce attuazione anche la legge 482/1999, sulla tutela delle minoranze linguistiche storiche, che ha introdotto una disciplina organica, così come, nelle Regioni con autonomia speciale, si trovano specifiche disposizioni di tutela di minoranze presenti nel territorio: è il caso dell’art. 40 bis dello Statuto della Val d’Aosta, che riconosce alle popolazioni di lingua tedesca dei Comuni della Valle del Lys – comunemente riconducibili al popolo dei Walser – il diritto alla salvaguardia delle tradizioni proprie, linguistiche e culturali.

Si tratta di una ricchezza, di un vanto per la Repubblica.

È un valore, quello delle terre e dei popoli di frontiera, che l’Unione Europea ha saputo far crescere e valorizzare ulteriormente, dando sempre maggiore spessore alla nostra comune cultura europea.

L’edificio della democrazia è opera che si perfeziona giorno dopo giorno.

Anche attraverso indicazioni di principio, semi gettati che, nel tempo, producono frutti, rafforzando la democrazia.

L’interazione tra la Valle e gli ordinamenti della Repubblica è stata di grande successo.

La Valle è un esempio di tutela delle proprie risorse, di promozione culturale e di apertura, anche con il polo universitario che di qui a poco visiterò e che, con il suo essere momento di incontro tra la tradizione francese e quella italiana, concorre in modo inestimabile alla valorizzazione del patrimonio culturale e di ricerca di Italia e Francia e all’identità condivisa.

Solidamente Aosta e la sua Valle costituiscono uno dei cardini del sistema delle autonomie della Repubblica.

Una Repubblica, ce lo ricorda l’art. 114 della Costituzione che non è soltanto riassunta nell’ordinamento statale, ma è costituita, come è scritto, è dichiarato “dai Comuni, dalle Province, dalle Regioni , dallo Stato”.

Quale migliore riconoscimento per la battaglia dell’autonomia orgogliosamente condotta con successo in Val d’Aosta?

Alla lezione di libertà, di patriottismo, di laboriosità, delle genti valdostane, a ottant’anni dall’avvio del cantiere dell’autonomia e alla vigilia degli ottant’anni della Liberazione, la Repubblica oggi rende omaggio.

 

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