Pierfranco Bruni: “C’è sempre una gratitudine da dare senza aspettare altrettanto. La vita è un racconto con le finestre aperte”

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AgenPress. Domande e risposte non sono un fatto gratuito. Cos’è la gratitudine? Capire che qualcuno ti ha regalato qualcosa? Semplice. La gratitudine è aver ricevuto la luce. È averti tirato dalla notte buia. È averti dato ciò che non meritavi. È aver ricevuto.
Gratitudine. È aver chiesto una Grazia. È aver donato più del possibile. È aver saputo accogliere. Insomma non si capirà mai perché si è dato e perché abbiamo accolto.

C’è sempre un senso a tutto. Anche nel nulla. Anche nel vuoto. Anche nell’assenza. In questo senso però vive la verità certa che noi non conosciamo. Ma il centro di tutto resta la consapevolezza della mortalità. Vorremmo essere immortali perché vorremmo sfidarci giorno dopo giorno senza temere la fine.

La fine è temuta. Vorremmo però che la fine avesse timore di noi. Ma noi non siamo Dio e non possiamo essere neppure degli dei. Restiamo esseri timorosi della paura. Nessun sapere potrà dirci altro. È terribile conoscere la non conoscenza. O la non riconoscenza? La riconoscenza è un valore che nasce dalla virtù di aver compreso. Il fatto è altro: “Gli uomini muoiono e non sono felici”.
Quando gli dei lacerano il mito aspetti che qualcuno ti porti la luna. Quella vera. Solo così potresti sentire immortale. Ma la realtà forse è altro dal sentire soltanto. Non bisogna affidarsi soltanto alla propria percezione. Ascoltare permette però un saper ascoltare. Nell’ascolto si potrebbe intuire un’altra verità che a volte non si riesce a leggere con tutti e due gli occhi. Bisogna saper osservare con entrambi. Con i due occhi.  Quando non si riesce a guardare con i due occhi occorre necessariamente osservare con il cuore e se il cuore si nega c’è sempre l’anima. Importante è riflettere: “L’uomo è fatto così, caro signore, ha due facce: non può amare senza amarsi”.
Non bisogna abitare il tempo pensando soltanto che la vita sia amore. Bisogna fare in modo che l’amore sia vita.
Ho imparato dalla necessità di saper cogliere la pazienza senza però farsi dominare dalla pazienza stessa. Il sabotaggio della pazienza è una avvertenza di dominio sulla pazienza.
Non dovrà accadere ciò. Altrimenti si corre il rischio di ferire l’intelligenza.

L’amore è pazienza. La pazienza non è amore. È saggezza. Se la saggezza non è accompagnata da eresie e da rivolte è subordinazione dell’intelletto.
Ciò vuol dire che si entra nella dimensione dell’eresia. È quella che a volte manca per non farsi omologare.
Siamo in in contesto in cui tutto è pianificato. Ma la vita non si può pianificare. Non è una pianura e non è un piano. È fatta di discese e salite, di scogli e rocce massicce, di tempeste e naufragi, di solitudini e angoscie.
Bisogna cercare di conviverci perché bisogna convivere con se stessi senza finzioni. Senza fingere a se stessi. La gratitudine giunge dell’armonia che dovremmo portare dentro. Non cercarla. Darla. Fino a che punto si potrà arrivare a ciò?
Camus ebbe a dire: “Continuo a credere che questo mondo non abbia affatto un significato superiore. Ma io so che qualcosa in lui ha senso ed è l’uomo, perché è il solo essere ad esigere d’averne”.
L’uomo ha senso perché tutto ha senso. Anche la gratitudine ha un senso perché è un senso.
Io considero ciò un patto tra me e la vita. Se dovessi venire meno a questo patto non sarei grato più a me stesso. C’è sempre una gratitudine da dare senza aspettare altrettanto. La vita è un racconto con le finestre aperte. Perché “L’uomo… non è interamente colpevole, non ha dato inizio alla storia; né è del tutto innocente poiché la continua”.
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