17 marzo la Fondazione Insigniti OMRI celebra la Giornata dell’Unità Nazionale

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La Fondazione Insigniti OMRI celebra la Giornata dell’Unita Nazionale promuovendo quel forte sentimento di unità che fu decisivo per isolare i terroristi.

Intervista al prefetto Francesco Tagliente


AgenPress. Perché la “Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera” è così importante per la Fondazione Insigniti OMRI

Il 17 marzo, dal 1861, segna forse il più importante tratto identitario della memoria sempre attuale e presente del nostro paese: l’unità. La parola unità, che si presta notoriamente ad un’interpretazione e ad un uso trasversale rispetto ai più diversi contesti, è quella che meglio sintetizza quel patrimonio valoriale che, ereditato dalla storia del nostro popolo, ha ispirato poi i padri costituenti nella stesura della carta fondamentale dei diritti del 1946, su cui tutt’oggi si poggiano le fondamenta della nostra Repubblica democratica.

A quale patrimonio valoriale si riferisce?

Mi riferisco a quei valori di solidarietà, di integrazione e di eguaglianza che restituiscono la cifra della nostra esperienza come nazione e, in una più ampia prospettiva, della proiezione dell’Italia sulla scena della comunità internazionale, lì dove, così come sta accadendo in questi giorni, il nostro Paese non ha mai fatto venir meno il proprio sostegno.

Ieri la Fondazione ha celebrato anche la ricorrenza del rapimento dell’onorevole Aldo Moro. Ritiene che ci sia un collegamento?

Quello stesso patrimonio valoriale, che riempie la cornice etimologica della parola unità, ci rimanda ad una sequenza di celebri momenti per la dignità del nostro popolo, ma anche ad episodi dolorosi, lì dove la comune radice culturale e territoriale che aggrega trasversalmente la comunità italiana, ha sempre evocato e sollecitato quella indole resiliente che in più occasioni ci ha visti reagire a fronte delle avversità.

È proprio da quest’ultima riflessione che ha tratto origine l’idea di voler collegare l’importante ricorrenza dell’unità d’Italia ad uno dei fatti forse più dolorosi che la nostra comunità ha vissuto, ossia il rapimento dell’onorevole Aldo Moro, occorso il 16 marzo del 1978.

Quindi doppia celebrazione rapimento di Aldo Moro con l’uccisione della sua scorta

Si. Ispirandomi alla mia composita esperienza di privato cittadino, di servitore dello Stato quale funzionario della polizia di Stato prima, e, poi, di Questore e Prefetto della Repubblica, fino ad arrivare al mio attuale ruolo di Presidente della Fondazione Insigniti OMRI , ho proposto al Consiglio di Amministrazione della Fondazione di celebrare entrambi gli eventi condividendo che per tutti gli insigniti le due date hanno una doppia valenza proprio per quei principi e valori che ispirano a tutt’oggi l’unità del nostro paese.

Una sua ispirazione?

La scelta di abbinare la ricorrenza della unità d’Italia al ricordo della strage di via Fani nasce soprattutto dai sentimenti che in prima persona ho vissuto negli anni di piombo, allorquando quella stessa unità del paese sembrava minata da una frangia di criminali devoti alle logiche del terrorismo, che, seppur minoranza, erano riusciti a diffondere un clima di eversione ai danni delle roccaforti dello Stato, colpendo brutalmente servitori dello Stato che avevano giurato fedeltà alla Repubblica.

 Come ha vissuto 16 marzo del 1978?

Una data, quella del 16 marzo 1978 che ricordo bene. Era il periodo del terrorismo e della criminalità agguerrita, vigliacca e sanguinaria. Dirigevo il terzo Nucleo delle Volanti che aveva assicurato il turno notturno e all’ora della strage non ero ancora rientrato. Non era facile fare servizio in quegli anni cruciali. Nel corso degli interventi la tensione era sempre altissima e l’adrenalina andava a mille. Le volanti erano frequentemente sollecitate e impegnate in spericolati inseguimenti. Ci lanciavano contro anche bottiglie incendiarie, bombe a mano e granate. In quegli anni aumentarono gli attentati con agguati, gambizzazioni e uccisioni. Nella società si generò un clima di pericolo, di insicurezza e di paura, anche perché venivano colpiti pure singoli cittadini, rappresentanti della società civile giornalisti, uomini politici, della magistratura, del mondo carcerario e delle forze dell’ordine e dirigenti degli altri apparati dello Stato.

Che rapporto ha un poliziotto impegnato in una attività che espone a rischio la sua vita con la paura?

La paura è un sentimento umano che riuscivamo a dominare. Quello che non si riusciva a gestire era il timore che potesse capitare qualcosa ai nostri familiari. Io posso parlare delle Volanti. Gli operatori delle erano costretti ad uscire e rientrare a casa da soli e, a causa dei turni, in fasce orarie prevedibili. Consapevoli che alcuni colleghi erano stati colpiti con azioni imprevedibili e in maniera vigliacca, in tanti si videro costretti a cambiare continuamente abitudini, itinerari e orari di uscita e rientro. Quasi tutti tolsero o cambiarono il nome dal citofono e dal portone di casa. Ci fu chi decise di allontanare la famiglia dalla sede di servizio. Al termine dei turni il personale che dormiva negli alloggi collettivi di servizio veniva accompagnato con un pullman scortato dalle volanti. E alcuni ammogliati per evitare di far conoscere l’indirizzo di casa preferivano dormire negli alloggi delle caserme.

 Sul piano operativo come vi addestravate a fronteggiare il terrorismo?

Prima di intraprendere i turni pomeridiano 19-24 e serale 19-24 si arrivava in caserma due ore prima per un Briefing collettivo nel corso del quale veniva fatto un punto di situazione su quello che era successo nelle ore precedenti, venivano illustrate eventuali nuove direttive e venivano messe a punto le strategie migliori da mettere in atto per fronteggiare una criminalità sanguinaria, per tutelare la collettività e intervenire in sicurezza. I briefing collettivi erano anche una grande occasione per fortificarci e non percepire la paura Nel corso di quelle riunioni, cercavamo di parlare e di esaltare gli aspetti positivi. L’orgoglio di servire la gente, l’orgoglio di servire il nostro Paese ci aiutava a superare quel sintomo di preoccupazione, di disagio e di paura. Pensare di servire il Paese rappresentava un momento di gratificazione che ci dava anche forza e coraggio.

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