L’ufficio è dove si trova il computer. Migliaia di dispositivi elettronici come tablet, notebook e smartphone sono stati venduti dal 2020 ad oggi. Gli oltre due anni di smart working hanno evidenziato come ai lavoratori (e alle aziende) italiane piaccia il lavoro agile. E’ che forse sarà impossibile ritornare a una modalità di lavoro “standard”.
Come verrà ricordato il 2020?
Il 2020 sarà molto probabilmente ricordato come l’anno zero del mondo del lavoro. Anche questo mondo, infatti, si dividerà in AC e DC: Avanti Covid e Dopo Covid. Lo smart working – o più correttamente il lavoro agile – non è certo un’invenzione recente (il suo antenato risale all’inizio degli anni 70), ma in Italia è arrivato, nella sua forma attuale e dopo un lungo iter normativo, solo con la legge n. 81 del 2017, Ma anche se il lavoro agile era realtà da ormai qualche anno, in Italia – prima del Covid – veniva principalmente adottato nelle filiali delle multinazionali, uniche aziende che avevano avuto modo di apprezzarne a livello globale i benefici.
L’arrivo del Covid (e la necessità di adottare misure stringenti per impedire la proliferazione del virus) ha visto un’accelerata netta verso ciò che ha rappresentato una soluzione efficace per contenere i contagi, senza impattare sulla produttività. Se, a fine 2019, solo il 3,6% degli occupati lavorava abitualmente da casa, nel biennio 2020-2022 questa percentuale è cresciuta vertiginosamente: con oltre sette milioni di italiani che hanno lavorato a distanza si è raggiunto il 45%-50% dell’intera forza lavoro.
Quando si concluderà lo smart working?
Il 31 marzo 2022, data che decreta la fine dell’emergenza sanitaria, si è concluso lo smart working semplificato (in reafe,”per i lavoratori privati questo termine è stato prorogato fino al 30 giugno); ora è pero tempo di tirare le somme e cercare di capire come iniziare una “nuova normalità” lavorativa. Il punto di partenza viene dai numeri: i sondaggi e gli studi di settore legati allo smart working sono allineati nel mostrare un complessivo apprezzamento di questa forma di lavoro, non solo da parte dei dipendenti ma anche dei datori di lavoro.
Questa valutazione favorevole si traduce in una richiesta nel continuare, anche per il futuro, nel lavoro agile, soprattutto da parte dei giovani, da chi ha famiglia e da chi vorrebbe lavorare al Nord ma restando al Sud (una richiesta che ha ormai generato l’espressione “*south working”). Se sull’apprezzamento non ci sono dubbi, meno conclusivi sono gli studi dedicati ai benefici dello smart working per i lavoratori.
Prendiamo, ad esempio, lo stato di forma mentale: secondo alcuni studi lo smart working (e la sua flessibilità) favorirebbe una condizione di rilassamento, mentre secondo altri proprio la flessibilità e il non avere confini temporali definiti aumenterebbe le ore di lavoro (e di conseguenza lo stress). Identico dualismo sullo stato di forma fisico: secondo alcune ricerche la possibilità di mangiare a casa (e quindi si spera in modo più salutare) e di avere più tempo libero si traduce in una migliore forma fisica, grazie al maggior tempo da dedicare a sé e alla cura del proprio corpo.
Ma anche in questo caso ci sono analisi che evidenziano come il non avere routine che costringano a muoversi (anche banalmente nei brevi percorsi a piedi necessari per raggiungere il posto di lavoro) incrementerebbe la sedentarietà. Inoltre utilizzare per lavoro ambienti e strumenti “domestici”, come scrivanie e sedie non ergonomiche, andrebbe alla lunga a generare mal di schiena e disturbi muscoloscheletrici. Per la mia esperienza personale (e vedendo quella dei miei colleghi) tutti questi studi, sebbene contraddittori, hanno ragione. Il fatto è che lo smart working è uno strumento ed è nell’uso (o nell’abuso) che ne facciamo che puo mostrare il suo lato positivo o negativo.