AgenPress – “Le misure messe in atto dal Governo sono importanti, ma potrebbero non essere sufficienti per arginare il diffondersi dell’epidemia. I due anni trascorsi ci hanno insegnato che una misura davvero efficace è quella di limitare, in vista del picco, i contatti tra le persone. La riapertura delle scuole, in un momento in cui gli studenti hanno appena iniziato a vaccinarsi o a fare i richiami, a seconda delle fasce d’età, ci preoccupa, così come preoccupa i presidi. Per questo chiediamo uno stop di 15 giorni, da recuperare poi a giugno, quando dovremmo essere fuori dall’emergenza”.
Lo chiede il presidente della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, Filippo Anelli, per cercare di contenere l’aumento dei contagi e dei ricoveri che sta mettendo a dura prova il Servizio sanitario nazionale.
Posticipare l’apertura delle scuole, recuperando poi a giugno. E poi, cambiare il sistema delle ‘Regioni a colori’, introducendo tra i parametri quelli relativi alla pressione sulla sanità territoriale e integrando, a tal fine, il Comitato Tecnico Scientifico con medici di medicina generale.
Anche il sistema ‘a colori’ delle Regioni “non rispecchia più la realtà, e va aggiornato. Funzionava quando il problema era prevalentemente l’occupazione dei posti letto e delle terapie intensive. Oggi, con i vaccini, la maggior parte dei contagiati – oltre un milione e mezzo di persone – è curata a casa. Con questi numeri, anche il tracciamento rischia di saltare. Serve una nuova classificazione, nuovi parametri che tengano conto della pressione sulla sanità territoriale. Occorre coinvolgere i medici del territorio, a livello decisionale prima ancora che operativo, integrando i loro rappresentanti nel CTS”.
“C’è, tra i colleghi, una forte preoccupazione per il picco atteso verso la metà del mese – spiega Anelli -. In molte zone d’Italia gli ospedali sono già in sofferenza e gli Ordini lanciano l’allarme: succede a Napoli, Palermo, Firenze, in Liguria, in Lombardia. Molti reparti si stanno trasformando in reparti Covid, con conseguente trasferimento del personale.
Nelle terapie intensive, il 16% dei posti è occupato da pazienti Covid, limitando la possibilità di usufruirne ai pazienti delle urgenze (infarti, ictus, interventi chirurgici urgenti, complicazioni del parto, incidenti stradali).
Tutto questo ha come conseguenza l’allungamento delle liste d’attesa, con possibili aggravamenti dei quadri clinici. Ribadiamo, ancora una volta, che il Covid non ha mandato in pensione le altre malattie: il nostro Servizio Sanitario pubblico deve ancora far fronte alla cura dei tumori, delle patologie cardiovascolari, delle malattie degenerative. Per questo invitiamo tutti i cittadini che ne hanno la possibilità a vaccinarsi, con il protocollo comprensivo del richiamo”.