M5s. Berardini lascia il Movimento. Da Autostrade a Ilva e Tav, tradito sogno

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AgenPress – “In questi giorni sono stato molto male ed ho riflettuto a lungo prima di scrivere questo post.
Sono entrato nel Movimento 5 Stelle con una luce che brillava nei miei occhi. Mi animava una profonda energia nel voler cambiare tante cose in Italia. Avevamo un programma chiaro. Meritocrazia, trasparenza, condivisione, partire dal basso e dagli enti locali, formare una vera comunità di cittadini. No al MES.
Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio avevano creato un movimento di cittadini veramente rivoluzionario”.
Così Fabio Berardini in una nota in cui condivide la decisione con altri 3 deputati di abbandonare il gruppo M5s alla Camera
“Ieri il Movimento 5 Stelle, tradendo palesemente il proprio programma elettorale, ha votato a favore della riforma del MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità.
Lo stesso meccanismo che ha imposto le pesantissime condizionalità lacrime e sangue alla Grecia.
Ma la cosa peggiore è che questa riforma del MES impatterà negativamente sull’Italia in ogni caso.
Con questa riforma, infatti, viene stabilito che a partire dal 2022 lo Stato italiano emetterà titoli di stato con le famose “single limb CACS”. Ossia delle clausole che rendono facilmente ristrutturabile il debito pubblico italiano.
Secondo voi perché una riforma dovrebbe rendere più “ristrutturabile” il debito pubblico di uno Stato? Ovviamente perché Francia e Germania temono che chi ha un debito pubblico eccessivo (come l’Italia) possa andare incontro a rischio default e minacciare l’intera area europea.
E cosa si sono inventati? Anziché aiutare subito un Paese in difficoltà, un consiglio di burocrati (MES) potrà intervenire tagliando il debito pubblico e imponendo rigide condizioni allo Stato con un debito pubblico eccessivo.
Indovinate chi c’è tra i paesi con il debito pubblico più alto dell’area europea? Indovinato. L’Italia!
Con il voto positivo alla riforma del MES è morto il Movimento 5 Stelle. È stata l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Sono entrato nel Movimento 5 stelle nel lontano 2012. Avevo 22 anni e studiavo giurisprudenza all’università.
Sono stato attirato da questa nuova forza politica che partiva dal web. Coinvolgeva dal basso tutti democraticamente, attraverso le piattaforme meetup.
Il nostro obiettivo era quello di partire dai comuni, avere dei cittadini nelle istituzioni: dei presidi di trasparenza e legalità. Sentinelle che acquisivano documenti e li condividevano con la collettività per tutelare il bene comune e le nostre 5 stelle.
All’età di 24 anni mi sono candidato Sindaco della mia città. L’ho fatto perché speravo di poter migliorare il luogo in cui vivevo. In futuro non volevo emigrare all’estero come tanti miei coetanei. Volevo rimanere in Italia e combattere per la mia generazione.
Così, un po’ ingenuamente, mi sono buttato in questa bellissima esperienza. Prendemmo l’8,26%, 2.784 voti. Non riuscimmo a vincere ma fui eletto consigliere comunale.
Per noi era una grandissima vittoria perché senza una struttura, senza soldi e senza una grande esperienza politica eravamo riusciti ad avere dei rappresentanti dentro le istituzioni.
La settimana dopo le elezioni, però, iniziarono i primi problemi: l’assenza di una struttura si faceva sentire.
Iniziarono i primi litigi interni e la collega che fu eletta assieme a me abbandonò immediatamente il Movimento.
Restai solo, con poche e validissime persone al mio fianco. Eravamo sostanzialmente abbandonati a noi stessi ma cominciammo a portare avanti piano piano le nostre battaglie. Furono mesi difficili. Non c’era una linea politica comune, non c’era una scuola di formazione, non c’erano fondi a disposizione, non c’era nulla.
Dovetti imparare tutto da solo e più volte cercai di proporre un coordinamento, un minimo aiuto per i consiglieri comunali ma nulla fu mai fatto dal Movimento.
Riuscimmo a farci valere ed alla fine, il 4 dicembre 2017 cadde il Sindaco. Subito dopo ci furono le elezioni politiche e fui eletto alla Camera.
Mi aspettavo che le cose cambiassero. Ma in realtà non fu così.
Arrivammo in Parlamento forti del grandissimo risultato elettorale ricevuto. A questo punto, però, ci fu l’inizio della fine.
Anziché creare una struttura ben definita o una scuola di formazione che potesse dare ai nuovi parlamentari tutti gli strumenti per poter affrontare questa importantissima esperienza, le uniche cose a cui pensarono i parlamentari di seconda legislatura furono le poltrone.
Tutti erano a caccia di poltrone da occupare: presidenti di commissione, presidenti di delegazione, capigruppo, tesoriere, questori, sottosegretari, ministri. Tutti si cercarono un posticino ma nessuno pensò ad organizzare il gruppo parlamentare. Nessuno pensò ad impostare un vera struttura organizzativa per un Movimento che era diventato una forza di governo.
Un po’ spaesati iniziammo a fare quello che ci dicevano ossia “schiacciare il bottone” secondo le indicazioni del delegato d’aula. Nessuno ci spiegò per filo e per segno tutte le dinamiche parlamentari.
Si era praticamente già creata una profonda spaccatura tra i parlamentari appena entrati ed i vecchi che erano stati rieletti per la seconda volta. Una frattura che ben presto diventò un burrone per mancanza di dialogo e di condivisione delle scelte.
Il Movimento andava avanti grazie alle decisioni prese da pochissime persone chiuse dentro una stanza. I famosi “caminetti”. Si votava on line su Rousseau solo quando faceva comodo con quesiti che chiaramente indicavano già la risposta.
Assieme ad altri colleghi provai a cambiare la rotta candidandomi come componente del direttivo del gruppo parlamentare ma per circa 3 mesi non riuscimmo ad eleggere una nuova squadra. Uno stillicidio spaventoso causato proprio dall’assenza di dialogo tra vecchi e nuovi.
In quella occasione, però, non riuscimmo a far prevalere una nuova linea di lavoro e di confronto.
Politicamente, però, all’esterno andavamo forte. Avevamo costruito un governo giallo-verde e stavamo portando a casa dei risultati importanti (reddito di cittadinanza, legge spazzacorrotti, decreto dignità, ecc).
Ad un certo punto, però, Salvini iniziò a crescere mediaticamente sempre di più ed i nostri vertici iniziarono ad appiattirsi sulle posizioni della Lega. Era sostanzialmente vietato anche solamente criticare quello che diceva Salvini per paura che potesse cadere il governo!
Un atteggiamento completamente sbagliato che segnò un altro passo verso il baratro.
Nel frattempo a febbraio 2019 ci furono le elezioni regionali abruzzesi. Convinti di vincere la regione non si pensò minimamente di fare delle alleanze ed alla fine prendemmo una bastonata epocale arrivando addirittura terzi. Questo chiaramente fu causato anche dalla completa assenza di una struttura territoriale.
I consiglieri comunali continuavano ad essere abbandonato a loro stessi. Senza un coordinamento sui temi, senza dei fondi a disposizioni e senza una scuola di formazione politica.
Nel maggio del 2019 ci fu un’altra sonora bastonata: le elezioni europee (passammo da 32% delle politiche al 17,06%). Nessuno si prese la responsabilità della pesante sconfitta ed il Capo politico Luigi Di Maio andò avanti come nulla fosse.
Ad agosto del 2019 il mojito giocò un brutto scherzo a Salvini ed il governo cadde. Luigi Di Maio qualche settimana prima proferì la famosa frase “Mai con il partito di Bibbiano” e dopo pochi giorni era Ministro degli Esteri di un governo fatto da 5 Stelle, Partito Democratico e Italia Viva di Renzi.
Le trattative furono condotte proprio da Luigi Di Maio che concesse fondamentali ministeri al Partito Democratico come Ministero il dell’Economia e il Ministero delle infrastrutture e trasporti (vi ricordate la revoca delle concessioni autostradali?).
Il 27 ottobre 2019 si svolsero le elezioni regionali in Umbria ed anche qui grandissimo colpo di genio del Capo politico. Fu inaugurata, infatti, la stagione delle coalizioni alle regionali proprio nella regione dove il Partito Democratico era più debole poiché il Presidente regionale era caduto a causa di una inchiesta della procura di Perugia su presunti illeciti nelle assunzioni nel sistema sanitario umbro. Chiaramente prendemmo una sonora bastonata elettorale.
Il 26 gennaio 2020 fu la volta dell’Emilia-Romagna. Forse una delle pochissime regioni dove l’unica cosa da fare era quella di andare in coalizione con il Partito Democratico per iniziare finalmente ad amministrare una Regione. Tuttavia il Capo politico Luigi Di Maio impedì questa alleanza e, addirittura 4 giorni prima del voto, si dimise da Capo politico. Altra bastonata.
Mentre accadeva tutto questo, io personalmente ho più volte sollevato in assemblea del gruppo parlamentare il fatto che i territori fossero completamente abbandonati, senza sostegno e senza organizzazione: nulla però fu mai fatto.
Il gruppo parlamentare è andato avanti con la totale assenza di condivisione su tantissimi temi. È impensabile che la prima forza di maggioranza relativa non abbia un serio Centro Studi che vada ad approfondire le tematiche.
Oggi, purtroppo, rimangono le macerie di un movimento che era partito con le migliori intenzioni ma che ha annientato qualsiasi contatto con il mondo reale grazie all’assenza di una minima organizzazione sui territori.
Sui territori praticamente non esistiamo più perché i nostri attivisti hanno perso qualsiasi energia. Pensate che in oltre 12 anni in Abruzzo non abbiamo vinto nemmeno un comune. Nemmeno uno su 305.
La revoca delle concessioni autostradali dopo il disastro del Ponte Morandi non è ancora avvenuta. L’acqua pubblica è ancora chiusa nel cassetto. La riforma fiscale è inesistente. Non c’è stata una vera riforma sulla durata dei processi. La battaglia sul TAV è stata persa, così come quella su TAP e ILVA. Le 400 leggi inutili da abolire in realtà non esistevano. 2700 navigator non sanno ancora se il 30 aprile il loro contratto verrà rinnovato oppure no. L’abolizione del canone RAI è un lontano ricordo così come lo è lo slogan “fuori i partiti dalla RAI”. Della banca pubblica per gli investimenti chiaramente non c’è nemmeno l’ombra. Anche le spese militari per gli F-35 sono state ripristinate.
Avevamo anche in programma una seria legge sul conflitto di interessi ma anche qui nulla è stato fatto chiaramente anche perché poteva andare in contrasto con un piccola società che intratteneva rapporti economici milionari con multinazionali del tabacco e nel frattempo controllava la piattaforma decisionale del principale partito di maggioranza di governo.
Ieri si è consumato il colpo di grazia: dopo aver scritto nero su bianco sul programma elettorale “Smantellamento del MES” viene approvata una riforma (peggiorativa) di questo istituto.
È ovvio che i vertici del M5S si sono calati completamente le braghe pur di mantenere la propria poltrona.
Noi 13 deputati che abbiamo votato COERENTEMENTE con il nostro programma elettorale siamo stati minacciati di espulsione ed emarginati.
Il clima è diventato talmente tossico che non mi riconosco più in questa forza politica.
Non basta tagliarsi lo stipendio per dimostrare di essere validi e coerenti.
Io stesso ho sempre rispettato questa regola del Movimento 5 Stelle fino a quando donavamo parte del nostro stipendio al Microcredito gestito dallo Stato.
Successivamente, però, questa regola è stata cambiata e ci hanno imposto di versare le somme ad un comitato privato e ad una banca privata. Ci sono milioni di euro che restano fermi su un conto corrente privato e non si capisce bene chi e quando dispone i bonifici.
I soldi, invece, andavano utilizzati per una struttura a supporto dei territori e dei cittadini italiani. Ho sempre fatto beneficienza e la continuerò a farla senza sbandierala ai quattro venti.
Andrò avanti come sempre e sosterrò il Presidente Giuseppe Conte. Continuerò a lottare per portare avanti tutte le battaglie che ho intrapreso: sanità pubblica, massima trasparenza della pubblica amministrazione, lotta agli sprechi, diritto ad un ambiente sano, NO al MES, lotta per la massima occupazione e diritti sociali”.
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