Milano. Tribunale commissaria Uber Italy per caporalato sui rider pagati 3 euro l’ora

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Agenpress – Il tribunale di Milano, sezione misure di prevenzione, ha disposto il commissariamento della società Uber Italy per caporalato. Gli elementi raccolti porterebbero all’accusa di sfruttamento dei rider che consegnano il cibo a domicilio con Uber Eats, l’app dell’apposito servizio collegata al gruppo di noleggio auto.

“Uber Eats ha messo la propria piattaforma a disposizione di utenti, ristoranti e corrieri negli ultimi 4 anni in Italia nel pieno rispetto di tutte le normative locali. Condanniamo ogni forma di caporalato attraverso i nostri servizi in Italia”, si legge in una nota del gruppo dopo il commissariamento di Uber Italy da parte del Tribunale di Milano.

“Inoltre partecipiamo attivamente al dibattito sulle regolamentazioni che crediamo potranno dare al settore del food delivery la sicurezza legale necessaria per prosperare in Italia. Continueremo a lavorare per essere un vero partner di lungo termine in Italia”, aggiunge la nota.

L’indagine è in corso e la misura è ancora in esecuzione da parte del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza di Milano, con il coordinamento del pm Paolo Storari. ​Gli indici di sfruttamento valutati dal giudice – il presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Milano, Fabio Roia – che ha sottoscritto il provvedimento di amministrazione giudiziaria a carico della società italiana della multinazionale Uber sono essenzialmente due: lo sfruttamento lavorativo e l’approfittamento dello stato di bisogno.

Nell’inchiesta, che ha portato anche ad una serie di perquisizioni, viene contestato il reato previsto dall’articolo 603bis del Codice penale, ossia la “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” per la gestione dei fattorini che fanno le consegne di cibo a domicilio per il servizio Uber Eats.

Fattorini che, stando a quanto ricostruito, formalmente non lavorano per Uber ma per altre due società di intermediazione del settore della logistica, tra cui la Flash Road City che risulta indagata nel procedimento.

In base all’indagine condotta dagli investigatori della Gdf e coordinata dagli inquirenti milanesi, i fattorini di Uber Eats erano assoldati da alcune società intermediarie come la menzionata  Flash Road City Srl, di Milano, che li pagava 3,75 euro lordi a consegna, ossia circa 3 euro netti se usavano la bicicletta; 3,50 euro se in motorino.

“La mia paga era sempre di 3 euro a consegna indipendentemente dal giorno e dall’ora”. Lo ha messo a verbale un rider che ha lavorato per il servizio Uber Eats. Per i giudici di Milano, Uber, attraverso società di intermediazione di manodopera, avrebbe sfruttato migranti “provenienti” da contesti di guerra, “richiedenti asilo” e persone che dimoravano in “centri di accoglienza temporanei” e in “stato di bisogno”.

“Ho solo minacciato di venirti a rompere la testa e lo ribadisco (…) ti vengo a prendere a sberle, ti rompo il….”. Sono le minacce rivolte da uno degli indagati, che lavorava per una società di intermediazione di manodopera, ad un rider che lo aveva definito “schiavista”. Lo si legge in una chat riportata nel decreto di commissariamento. “Da noi non lavorerai, perché ho bloccato il tuo account”, diceva ancora l’uomo. I giudici parlano anche di “sottrazione ‘legalizzata’ delle mance” e “punizioni” economiche per i rider.

 

La società terza che lavorava per conto di Uber Italy procacciava lavoratori, quasi tutti provenienti da “zone conflittuali del pianeta (Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Gambia, Guinea, Pakistan, Bangladesh e altri) e la cui vulnerabilità è segnata da anni di guerre e povertà alimentare”, si legge nel testo. Il giudice ha considerato anche il “forte isolamento sociale in cui vivono questi lavoratori”, che offre “l’opportunità di reperire lavoro a bassissimo costo, poiché si tratta di persone disposte a tutto per sopravvivere, sfruttate e discriminate da datori di lavoro senza scrupoli”.

 

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